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ma chi la dava era suo zio, ed egli dovette mandarla giù in santa pace. Pochi minuti dopo egli esciva, per andare con Orazio Ceprani al caffè di Venezia.
Come si trovasse il Ceprani a far da padrino in quella quistione di Cesare Gonzaga, avete veduto poc’anzi. Forse, dopo certi discorsi da lui fatti al conte Guidi, il signor Ceprani avrebbe dovuto, per la decenza almeno, tirarsi in disparte. Ma questo e tutto il resto degli atti di Orazio Ceprani è affar suo; e noi lo lasceremo con la mala compagnia della sua propria coscienza.
Cesare Gonzaga, dopo aver messe in ordine tutte le cose sue nel nuovo domicilio, si pose a tavolino per scrivere una lettera al suo fattore.
Capiva che avrebbe dovuto fermarsi a Roma più giorni che non fosse a tutta prima risoluto di restare, e provvedeva con le sue istruzioni a parecchi lavori che aveva lasciati sospesi. Quanto al duello, non ci pensava neppure. La cattiva azione (perchè infatti la credeva tale) gli aveva dato da principio un pochino di noia: ma oramai