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a quel nobile uomo, che aveva la doppia aureola del soldato di Roma e del cavaliere mondiale. Cesare Gonzaga le arrideva infatti come una luminosa figura d’altri tempi, di quei tempi che hanno sempre l’obbligo di parere e spesso anche la fortuna di essere migliori dei nostri. Anche gli antichi Romani erano fatti così: alle falde del Campidoglio per respingere i Galli e rovesciare le superbe bilance di Brenno; tra i Persi e i Medi, nel lontano Oriente, con le aquile infaticabili e coi prodigi del valore latino.

Il conte Guidi, per altro, non si poteva mandarlo via come il primo venuto. Quel malinconico cavaliere le aveva dette tante cose leggiadre, ed ella le aveva già tanto ascoltate, anche senza commuoversi troppo, che la consuetudine e la cortesia dovevano associarsi a consigliarle un riguardo particolare di benevola attenzione per lui. Lo ascoltò dunque ancora, mentre Cesare Gonzaga si allontanava, discorrendo con altri. Ma il conte Guidi non fu troppo felice, quella volta; anzi, non lo fu niente affatto. Figuratevi che ebbe il torto d’incominciare così: