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giungere, combattendo per l’onore della patria, o per la vittoria d’ogni nobile idea. Effimero, sì, come tutti i trionfi! Eppure, per la gloria di un giorno viviamo e combattiamo tante aspre battaglie; qualche volta per la gioia di un’ora, per la ebbrezza di un attimo; e raccolti nella soave memoria di quel giorno, di quell’ora, di quell’attimo celeste, ci spegniamo in silenzio, povere stelle cadenti, ci sprofondiamo nella immensità dello spazio sconosciuto.

Arrigo era venuto coi suoi complimenti, freddamente accolti, a distogliere la signorina Manfredi dalla contemplazione del vecchio. Con lui si era avvicinato anche il Ceprani, che il conte Guidi tirò presto in disparte, per chiedergli:

— Chi è quel vecchio signore con cui siete entrati voi altri?

— Quello là? È Cesare Gonzaga, lo zio del Valenti; — rispose Orazio Ceprani; — un marchese che non vuol essere chiamato marchese, e che ha passato trent’anni della sua vita nel Bengala, facendo la guerra agli Indiani e guadagnando molti laks di rupìe.