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di banca: e quelli di visita, o erano affogati nel mucchio dei loro più degni fratelli, o erano stati dimenticati a casa.
— Bene! — esclamò il signore, facendo un atto di rassegnazione, dopo due o tre d’impazienza. — Non ne trovo. Dite al vostro padrone che è passato a cercarlo Cesare Gonzaga. —
Il servitore sgranò tanto d’occhi, a mala pena ebbe udito quel nome, e s’inchinò per modo da far credere che volesse piegarsi in due.
— Perdoni, Eccellenza!... Si dia la pena d’entrare! —
Il signore sorrise sotto i baffi grigi ed entrò. Quell’altro, richiuso prontamente l’uscio, corse a sollevare il lembo di una portiera in fondo all’anticamera.
— Per di qua, signor marchese, per di qua! — diceva egli, frattanto, inchinandosi da capo. — Questo è lo studio del padrone.
— Marchese! — brontolò il vecchio signore. — Per chi mi hai preso?
— Scusi, illustrissimo! Non è lei lo zio del cavaliere Valenti?