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scriverla e stamparla. Ma il Bartoli, invece d’impiegare quelle trecento pagine tutte in giustificarsi veramente, che avrebbe cosi fatta una cosa forse mediocremente necessaria, mi pare che si scordi quasi di farlo; mi pare che invece di giustificarsi vada menando il can per l’aia, narrando molte particolaritá della vita sua; mi pare che vada riferendo molte lettere scrittegli da piú d’un cardinale e da molti uomini molto dotti; mi pare che vada lodando in infinito que’ signori molto dotti e da esso battezzati «illustri», «celebri», «eruditi», «valorosi», «famosi», «valenti», «sapienti», «acuti», «avveduti», «rinomati», «venerati», «letterati», con altri somiglievoli epiteti in copia grande, come vedremo ancor meglio in altro luogo; mi pare che vada troppo cianciando d’un certo Dione Cassio e delle note fattegli da lui e da altri ; mi pare che vada spargendo qui e qua pel suo libro a caso, o vogliam dire ad arte, qualche mordace tratto contro alcuni che non mostrano di stimarlo altamente, cosa che si poteva per avventura risparmiare; mi pare che vada stranamente frammischiando le ingiurie colle lodi al dottor Lami, autore del Giornale di Firenze, perché l’ha troppo beffeggiato nel suo giornale; mi pare che contengano la difesa di certe «incerate penne», sopra le quali dirò qualche cosa, quando sará tempo, andando avanti con questo mio scrivere, se avrò tanta pazienza; mi pare in somma che contengano centomila scientifiche baie, che poco o nulla hanno che fare colla sua «propria giustificazione» e colla Vera spiegazione del dittico quiriniano; e che non ha scritte per altro che per ingrossare il libro, e altri direbbono per far pompa della sua immensissima erudizione, che dal tempo di Bartolommeo in qua non se n’è mai piú veduto far tanto sciupo e tanto guasto. E il meglio è che quelle «cinque lettere» saranno poi un bel nulla in paragone della Vera spiegazione, allora quando, come dicono molti, alla prefata montagna si moveranno le doglie del parto. Egli è ben vero che chi vorrá vedere quella Vera spiegaziofte, quando sará partorita, dovrá pagare uno zecchino; ma io giuro anticipatamente che non avrò mai la buona sorte di vederla, non essendo soverchio curioso e tanto avaro per natura, che non pagherei nove lire e quindici