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58 prefazioni e polemiche

poiché voi, signor conte, vi unite con molti altri galantuomini, e senza che io ve ne preghi (che sarebbe soverchia pazzia, se mi fosse pure caduto in mente di farlo), voi, dico, lodate egualmente e la mia maniera di pensare e la mia foggia di esprimere e gli altrui e i miei pensamenti. Io ve ne ringrazio, io ve ne ringrazio, torno a dirlo due volte, e delle lodi vostre io mi fo bello bello e meco medesimo me ne compiaccio, me ne congratulo e me ne rallegro.

Adesso mò che ho fatto il debito mio per le lodi che voi mi date, io me ne verrò, signor conte, il più brevemente che saprò farlo, a risolvere quelle piccole difficoltà che voi dite di avere ancora sul principal punto del mio forse nuovo sistema di tragedie e di commedie, secondo il quale e le une e le altre debbono esser dettate in ottava rima, anzi che in verso sciolto le prime e in verso sciolto o sdrucciolo sciolto le seconde. Ma permettetemi che io trascriva qui, per chiarezza maggiore di quello che m’apparecchio a dirvi, quel paragrafo della ornatissima lettera da voi in questo proposito scrittami, nel quale voi dite cosi:

Tant’è: io non so a chi io mi debba credere, se a voi o al famoso Dryden poeta inglese. Questi scrisse molte cose sue teatrali in rima, eppure di questo, come di cosa da lui fatta contro il buon senso, si scusa e dice ch’e’ s’è assoggettato alla rima per accomodarsi al cattivo gusto de’ suoi tempi. E voi scrivete le vostre tragedie in verso sciolto, e poi vi dichiarate acre difensore della rima? E a qual di voi ho io a credere? Oh quanto avrei caro v’intendeste di lingua inglese, che io vi esorterei a leggere la prefazione di quel poeta alle Egloghe di Virgilio, e un’altra opera del signor Spence, professore di poetica in Oxford, mio grande amico, nel suo libro intitolato: An essay on mr. Pope’s «Odissey»! E spiacemi che io non ho tempo d’inserire in questa mia le loro ragioni contro l’uso della rima ne’ teatrali componimenti. La sola ragione che io voglio ora arrischiare con voi è questa. Io ho sempre creduto che in una tragedia e in una commedia debbasi supporre che i personaggi parlino ex tempore, e che quanto meno comparirà, anzi quanto più scomparirà e svanirà il poeta in quelle, tanto più l’una e l’altra sarà perfetta; la maggior arte del poeta dovendo