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II. PREFAZIONI ALLE TRAGEDIE DI PIER CORNELIO 55

questi due punti io avrei un vasto campo da estendermi e mostrare quai grossi granchi non solamente Bouhours e Boileau, che mai non gustarono questa nostra lingua, han preso criticando, com’io giá dissi; ma degli altri granchi ancora che ha preso Menagio e Chapelain e Regnier ed altri molti che alcun pochino ne intendevano, lodando i poeti e i prosatori nostri.

Egli è ormai tempo, signor conte mio caro, di farvela finita, che forse di soverchio io vi ho tenuto a bada. Verrá per avventura un giorno che porrò in iscritto alcune cose che nella mente mi bollono su questo argomento, e frattanto starò desiderando che vengano all’Italia degli uomini capaci di fare delle commedie e delle tragedie in ottava rima, degne di essere poste a fronte di quelle del gran Cornelio e di Molière. E ben è cosa da farsene infinita maraviglia, che con una lingua cosí propria e per lo stile alto e per lo stile piacevole, non sieno ancora venuti due cervelli capaci veramente di questi due generi di poesia e da potersi porre a rimpetto di que’ due francesi poeti; ma lo scarso numero de’ mecenati che incoraggiscano gl’italiani forse è la principale, anzi l’unica cagione che non si vedono ancora questi tali poeti che io desidero; ché se i mecenati si trovassero, la nazione italiana diventerebbe presto presto superiore, non che alla francese, a tutte le altre nazioni e nelle scienze ed in ogni bell’arte, non che nel teatro, come lo fu ne’ felici antichi tempi de’ romani e ne’ piú felici moderni ancora di Leon decimo d’immortalissima memoria.