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II. PREFAZIONI ALLE TRAGEDIE DI PIER CORNELIO 41

per altra ragione, ed ho alterato qualche po’ poco alcun verso, come sarebbe a dire nell’atto primo, scena terza, del Poliutie, in quei versi di Paulina a Stratonica:

Tu vois, ma Stratonice, en quel siede nous sommes:
voilà notre pouvoir sur les esprits des hommes,
voilà ce qui nous reste, et l’ordÌTiaire effet
de l’amour qu’on nous offre et des voeux qu’on nous fait.
Tant qu’ ils ne soni qu’anants, nous sommes souveraines,
et jusqu’à la conquéte il nous traitent de reines;
mais après l’hymenée ils soni rois à leur tour.

Questo luogo m’è parso troppo più comico che non converrebbe alla maestà d’una tragedia, e d’una tragedia sacra; e perciò io ne ho bene conservato il senso quanto più ho potuto, ma l’ho fraseggiato il più nobilmente che mi è stato possibile. E così mi sono anche un po’ allontanato dal senso di quelle parole di Fabiano a Severo, nell’atto secondo, scena prima, dello stesso Poliutte:

...... Ouì; depuis quinze jours
Polyeucte, un seigfieur des premiers d’Armenie,
goùte de son hymen la douceur infinie,

perché parole troppo imprudenti mi parvero in bocca di Fabiano, il quale non doveva in quelle circostanze dipingere infinito il bene di Poliutte nel possesso di Paulina al suo amante Severo, del quale doveva anzi tenere la fantasia lontana da simile per lui dolorosissima imagine. E per dirvene ancora una, neppure volli quel pensiero servilmente tradurre di Cimene (che io, perché mi pare che faccia miglior suono, ho scritto «Climene ») nel Cidde, atto terzo, scena terza:

La moitié de ma vie a ntis l’autre au tombeau,

perché mi parve un pensiero falso, come notò anche Scudery nella sua critica al Cidde, ed un pensiero che suonato avrebbe ancor più male in italiano che in francese non suona, quando l’avessi detto con quella frase italiana che alla franzese può corrispondere.