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II. PREFAZIONI ALLE TRAGEDIE DI PIER CORNELIO 39

più armoniosa; né mi venga alcuno sotto con quell’altra pazza ragione che si altera di troppo la naturai maniera del parlare rimando le tragedie e le commedie, conciossiaché si altera egualmente la naturai maniera del parlare dai versi sciolti e sdruccioli; che se gli uomini non parlano in rima, non parlano né tampoco in versi sciolti o sdruccioli; e que’ tali che cosi pur gracchiano, che non iscrivono - essi tutte le cose loro in prosa? perché ammirano tante belle parlate in tanti poeti, che sono rimate o ristrette in una misura che equivale alla rima? Enea parlava egli in versi esametri a Didone? Bradamante lagnavasi ella della tardanza di Ruggiero in ottava rima? Che sciocca pretesa è dunque questa, volere che i personaggi parlino sul teatro quasi come si parlerebbe naturalmente, quando noi andiamo ad ascoltarli con quella medesima prevenzione con cui leggiamo e l’Ariosto e Virgilio e tutti gli altri poeti epici; cioè che non essi personaggi, ma sibbene i loro poeti parlino per essi? Cerchiamo di piacere a tutti, e se possiamo far bene modellandoci sui greci e sui latini, facciamo meglio facendo da noi, e scriviamo le nostre tragedie e le nostre commedie non in versi a’ lor giambi somiglievoli, ma in rima, in rima, in rima.

Io ho vedute recitare in Venezia ed altrove alcune tragedie in verso sciolto e fatte secondo le buone regole di messer Aristotile, ed ho visto su gli stessi teatri e da’ medesimi attori recitare de’ drammi dell’immortai Metastasio; e quantunque questi abbia poco badato a’ precetti dello Stagrita, tuttavia quei suoi drammi sempre gli ho visti con molto più piacere ascoltati che non le tragedie alla greca. Perché ciò se non perché i suoi dolcissimi versi, pieni de’ bei sentimenti che convengono alla tragedia, sono pur pieni di belle e facili rime? Io credo che questa sia, se non l’unica, almeno la principal ragione che si può addurre dell’universa! gradimento di que’ drammi; e se altri me ne sapesse dir una meglio, l’avre’ molto caro. Tuttavia la terza e l’ottava rima sarebbono per mio avviso più proprie che non il metro di quel valente poeta; che oltre che sarebbe più nobile e maestosa versificazione e più soave e grata all’orecchio,