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36 | PREFAZIONI E POLEMICHE |
vorrebb’e’ forse dire che un poema molte volte e in varie età e in diversi paesi stampato e in diverse lingue tradotto, non sia da preferire a un altro il quale niuno di questi onori si ebbe? Ma se la buona sorte d’Italia ha fatto scrivere in rima i nostri poeti epici, la disgrazia sua ha voluto che non abbiamo neppure una buona tragedia in rima, e che una sola buona commedia in ottava rima, per quanto io so, abbiamo. Questa commedia è La Tancia del Buonarroti; e per quanto belle si sieno quelle del Cecchi, dell’Ariosto e, per dirlo a un tratto, tutte quelle degli antichi e de’ moderni toscani scrittori, nessuna, per mio avviso, più debbe piacere e dirsi bella di quella amabilissima Tancia; e bene smemorato e poco men che pazzo colui io direi che mi negasse non essere quella la più bella commedia che sia stata scritta in toscano; anzi io giocherei poco meno che un / occhio e tre denti che né greco né latino né inglese né francese scrittore, né in sostanza nessuno mai al mondo ha scritta la più bella cosa comica. Il Fagiuoli nelle sue commedie ha di be’ squarci sul fare della Tancia; ma son elleno le sue più belle scene da paragonarsi con alcuna di quelle? Io per me dico che lor sono di sotto, come il sono le sue piacevoli rime alle piacevoli rime del Berni, che il sono infinitamente. Perché dunque dietro un esempio tale non si fanno le commedie in versi rimati?
Alcuni che hanno a’ di nostri composte tragedie si vanno lagnando, e gridano e schiamazzano tuttavia che il secolo è corrotto, che non si vogliono dagl’italiani ascoltare che le sciocchezze di Arlicchino, gl’inganni di Brighella, le freddure del Dottore e le tantaferate di Pantalone, e che i gravi e sodi e sublimi e profondi pensieri sparsi, non che colla mano, col sacco in tante bellissime nostre tragedie, non si vogliono per nulla, e che anzi queste fanno fallire i più bravi comici che le recitano. Ma dicano un po’ a me cotesti piagnoni: se noi avessimo in una tragedia, verbigrazia, un povero sventurato già prigioniero, che facesse una parlata come quella del conte Ugolino in i Dante, o uno imbasciadore che favellasse come Alete a Goffredo ’ in Tasso, o una sposa che si lamentasse del marito fuggitole