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I. LETTERE SUL DOTTOR BIAGIO SCHIAVO 27

che in Petrarca v’hanno de’ pensieri e delle frasi e de’ versi ch’io ho per cattivi, come sarebbe a dire:

E mia giornata ho co’ suoi pie fornita. —
                         Le trist’onde
del pianto di che mai tu non se’ sazio. —
Con l’aura de’ sospir. —
Tal d’armati sospir conduce stuolo. —
                         Obblio nell’alma piove
d’ogn’altro dolce, e lete al fondo bibo. —
Io chiedere’ a scampar non arme, anzi ali. —
Tal che infiammar devria l’anime spente. —
Di pensier in pensier, di monte in monte. —
Fra la spiga e la man qual muro è messo. —
Dolce del mio pensier ora beatrice. —
Fior, frond’, erb’, ombr’, antr’, ond’, aure soavi. —
Ogni smeraldo avria ben vinto e stanco. —
Amor che a’ suoi le piante e i cori impenna. —
E duro campo di battaglia il letto. —
E Laura mia co’ suoi santi atti schifi. —
Con le ginocchia della mente inchine. —
Se Amore e Morte non dà qualche stroppio. —
Chi vuol far d’Elicona nascer fiume. —


Questi versi di Petrarca, verbigrazia, e non pochi altri della stessa lega, sono troppo palpabilmente o stracchi o affettati o viziosi nella espressione o falsi nel pensiero o che so io, e ad altri non possono piacere se non ad alcuno ignorante leggitore di quel poeta; e lo Schiavo, che si spaccia tanto petrarchista, è veramente un ignorante leggitore ed imitatore del Petrarca, se imitatori chiamar debbonsi, axizi che ladri, quei che rubano i centinaia di versi ad un autore per cacciarli nelle loro mal cucite poesie, come fa egli, che non sa fare un sonetto se non vi ficca dentro, o per amore o per forza, almeno almeno un verso del Petrarca. E manco male se il facesse più di rado e se sapesse scegliere il molto buono dal poco cattivo dal suo assassinato poeta: signor no, e’ va proprio a cavar fuori uno de’ peggiori versi