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I. LETTERE SUL DOTTOR BIAGIO SCHIAVO 13

nostri! quanti volumi si vedrebbono nelle botteghe de’ pizzicagnoli!

Te di giure e di fatto
Coglión discopri, e di padella in brace
cascando vai col tuo sonetto audace.

Io sono «coglione» perché sono innamorato; ma egli che non è innamorato, come diavolo fa ad esserlo tanto? «Di padella in brace»: avrebbe dovuto dire «Della padella nelle brace», se voleva dire questo proverbio toscanamente; ma il poveraccio non lo poteva far entrar nel verso con quegli articoli lunghi una sillaba di più, E quel!’* audace» non è egli bello? Io che «di giure e di fatto mi discopro un coglione» (signor dottore Schiavo, che bella frase!) «casco della padella nelle brace», cioè di un male in un altro peggiore, col mio «audace sonetto»: che vuol dir egli, che? Oh che versi, oh che pensieri, oh che «lettre umane e divine»!

Del cattivel mordace
col chiostro che hanno a far le impure labbia,
e quel sfogar contro di te sua rabbia?

Questo vecchio barbogio mi va facendo delle interrogazioni molto belle. Mi ha già domandato quando fu che ho udito sonar le campane dagli angioli, e perché ho ritratto Amore e fattolo volgare e mostrato quel ch’ei mi aveva fatto; ed ora mi viene a chiedere «che abbiano a far le impure labbia d’amore col chiostro, e il suo sfogar contro di me la sua rabbia»; ed io non ho mai sognato «d’impure labbia», né ho mai detto che «abbiano che fare col chiostro». Ma lasciate un ik)co che io l’interroghi anche un poco lui, e gli chiegga chi gli ha imprestato quello epiteto di «mordace» ad Amore: — O ser Biagfio, chi ve l’ha imprestato quel bell’epiteto? chi vi ha insegnato a fare di settantadue anni de’ sonetti molto j)eggiori di quelli che io ho fatto di vent’anni? quali «lettre umane» son queste? quali «lettre divine » sono le vostre? — E poi, continuando le interrogazioni, gli chiederò: — Chi vi ha insegnato, molto reverendo, a scrivere delle