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in lingue tanto rispettivamente diverse fra se stesse quanto lo è ciascuna rispettivamente alla fiorentina, e’ sará pur forza dare a ciascuna delle lingue in cui ciascuno d’essi ha scritto un appellativo che la distingua dall’altre tutte. E cosi bisognerá dire che quella in cui scrisse l’Ariosto è ferrarese; quella in cui il Tasso, è da Surrento; quella in cui il Caro, maceratese; e cosi delli altri e delli altri e delli altri? Vedi in quale caos Niccolò ne vorrebbe costi tombolare!
Il fatto sta che la lingua, nella quale scrivono tutti que’ che nascono in quel tratto di terreno chiamato «Italia», non s’ha a chiamare né «fiorentina» né «toscana», ma «italiana»; e questo per due potentissime ragioni principalmente. L’una, perché ogni nativo d’Italia, o bene o male che l’intenda, o un po’ piú appuntino o un po’ meno appuntino, la intende senza darsi la fatica di studiarla; e l’altra, perché i popoli confinanti coli’ Italia non l’intendono senza previamente darsi la fatica d’apprenderla. Ecco le due qualitá che distinguono la nostra lingua da tutte l’altre e da cui deve dirivare l’appellativo suo; e non importa se l’autore del Calloandro, il Marino, l’Achillini e il Ciampoli ne’ tempi passati, o se FAlgarotti, il Goldoni, il Denina e il marchese Beccaria ne’ presenti hanno scritto nel modo incolto e barbaro in cui hanno scritto, poiché i nomi delle lingue non hanno che fare con la maggiore o minore puritá ed eleganza in cui sono scritte da Tizio o da Sempronio; e ciascuna è, e deve chiamarsi, lingua di quel tale paese dove è universalmente intesa, senza che i suoi abitanti, come dissi, s’abbiano a fare innanzi tratto la fatica di studiarla e d’apprenderla.
Anche in Francia, anche in Ispagna, anche in Inghilterra e nella Cina e nel Giappone, e anche a casa il diamine, che quasi la m’è scappata, si parlano vari dialetti, né piú né meno che in Italia: pure per tutto l’orbe terracqueo la lingua delli scrittori di Francia viene chiamata «lingua francese»; quella di que’ di Spagna, «spagnuola»; quella di que’ della Cina, «cinese»; e cosi giú fino in fondo della litania. E se questa cosa sta cosi, come senza dubbio la sta, quare non si chiamerá «italiana» quella delli scrittori d’Italia, o che scrivano purgato e