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ad Ogni patto giacere con una fanciulla da esso «allevata in casa sua con tanta onestá e in quel modo che s’allevano le fanciulle dabbene». Come quel vecchio pieno di vizio potesse allevare in casa sua una fanciulla a quel bel modo, non lo indovinerò giá io: basta che messere, quantunque uomo dipinto in ogni sua parte come un uccellacelo goffo e senza la minima bricia di cervello, l’ha elevata a quel buon modo. Il fatto sta che, malgrado i suoi settant’anni, colui è tanto accecato da quel suo brutto desiderio che, senza punta di difficoltá, viene a trovarsi molto solennemente beffato da una caricata pettegola di moglie ch’egli ha. Il matrimonio con cui la Clizia si conchiude non ha troppo che fare con l’intreccio d’essa, né dipende da verun accidente suo; la qual cosa la fa terminare difettosamente, e per conseguenza la rende meno pregevole della Mandragola, quando si voglia paragonarle insieme e considerarle entrambe dal solo canto dell’invenzione. Tutt’a due però sono scritte con un brio maraviglioso, e tutt’a due con una bellezza di lingua che propiamente rapisce.
// frate. Commedia.
Questa commedia si racchiude non in cinque atti, come l’altre due, ma in tre soli. L’argomento d’essa è un frate furfante, che cerca di godersi la moglie d’un vecchio balordo e che viene a capo del suo bel disegno con una birbonata la quale non ha soverchio del probabile.
Due cose si possono ricogliere dalla lettura di queste tre commedie di Niccolò. La una, che i fiorentini dovevano essere gente molto malamente corrotta a’ tempi suoi, poiché non soltanto godevano di leggere, ma lasciavano anche rappresentare sul teatro delle laidezze abbominevoli e che non si potrebbono punto soffrire nel secolo nostro, se non forse in Venezia; l’altra è che i frati d’allora erano tanto odiati da Niccolò come vilipesi dall’universale, poiché quell’universale co’ suoi applausi incoraggiava