Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
178 | PREFAZIONI E POLEMICHE TOMO TERZO |
I Discorso sopra il riformare lo Stato di Firenze.
Questa breve opera, prodotta da un comandamento di Leon decimo, fu architettata da Niccolò a modo di trappola, ponendo egli la mira in essa a far credere a quel papa come dall’un canto era facile il formare una perfetta repubblica in Firenze, e il dare dall’altro tanta potenza in quella alla famiglia de’ Medici, da non le lasciar paventare più mai disturbo o crollo d’alcuna sorte per lo avvenire.
Malgrado però il plausibile ragionare di Niccolò, quel papa, che non era un fagiuolo, dovette avvedersi come le due cose non erano punto compatibili, né gli fu per avventura difficile lo scorgere come Niccolò ragionava contro la propia consapevolezza, quando poneva per punto fondamentale del suo ragionare che in Firenze «v’era grande egualità di cittadini». E come poteva essere in Firenze quella egualità, se né anco molte famiglie delle più numerose e delle più opulenti, unite in una spezie di lega insieme, come avvenne più volte, potevano far fronte alla Medicea, e impedire che non si facesse ne’ magistrati quello che i Medici volevano, o fare che si facesse questa e quell’altra cosa malgrado d’essi?
Per questa e per molte altre ragioni, il Discorso di Niccolò dovette riuscir vano nella opinione di quel papa; e lo Stato fiorentino, ad onta d’un tale insidioso abbindolamento di parole, divenne una monarchia assoluta, come non si poteva che non divenisse, considerata l’intrinseca forza della casa de’ Medici, vale a dire le sue sfondolate dovizie, e per consegfuenza le moltissime sue aderenze tanto in patria quanto fuor di patria; senza contare la tanta rabbia e il tantissimo maltalento, che molte delle famiglie di quella città o covavano o mostravano apertamente contro altre famiglie, senza contare i fondamentali difetti