Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Rassettata però l’Italia mediante la rovina e l’annichilamento di molti de’ tanti usurpatorelli spicciolati qua e lá per essa, e succedendo l’amore d’ogni sorta di sapere, spalleggiato dalla buona critica, al lungo furore de’ guelfi e de’ ghibellini e alle guerre napoletane, viniziane e francesi; molti furono i dotti che si fecero ad esaminare quelle tante nozioni, le quali senza intoppare in contraddicimenti ed ostacoli s’erano propagate liberamente per tutte le italiche regioni: fra le quali nozioni, quelle tante di Niccolò furono poco meno che le prime che vennero a crivello, com’era dovere, poiché piú di quelle di qualunqu’ altro scrittore avevano buon bisogno d’essere dizizzaniate.
Il cardinale Reginaldo Polo, personaggio rispettabilissimo non meno per dottrina che per nascita, fu, credo, tra i primi che si posero di buon proposito a mostrare di quanta perfidia i libri di Niccolò riboccavano e la necessitá che il mondo aveva d’un possente antidoto contro il veleno sottile troppo e mortifero, da esso sparso non soltanto nel Principe quanto eziandio qui e qua per tutti li altri suoi scritti.
Lungo molto sarebbe il catalogo, chi lo volesse fare, non tanto de’ critici quanto delli strapazzatori, che dietro al cardinale Polo si scagliarono contro al povero Niccolò. Non bisogna però tacere che se furono molti quelli che lo criticarono e strapazzarono, molti pure si * dichiararono in favor suo e si fecero campioni d’alcune di quelle stesse dottrine che venivano da tanti condannate: cosa da non parere fuori del naturale a chi riflette che, quantunque la misura del cattivo ne’ libri di Niccolò sia grande, pure la misura del buono è tale, che non solamente agguaglia l’altra, ma fors’anco la vince; onde non è strano se molti, abbagliati dallo splendore di quel suo buono, duravano fatica a veder poi il buio di quel suo cattivo, e se sostenevano baldantemente che ogni cosa nelli scritti di Niccolò era un pezzo di luce.
La conseguenza di que’ tanti esami e di quelle tante dispute fu quale doveva essere. La corte di Roma, che da molto tempo mostra timore d’essere danneggiata dalle penne delli scrittori e che da Leon decimo in qua si è incessantemente adoperata