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avrebbe dato l’ultimo tracollo allo Stato fiorentino, non fa che noi non abbiamo una irrefragabile prova come il governo repubblicano, considerato puramente in opposizione al monarchico, non è sempre da preferirsi a questo con quella prosuntuosa ed insolente autorevolezza con cui egli lo preferiva.
E giacché siamo a dire, diciamo ancora, per corroborare questa osservazione, come si vedono oggidí in Italia dieci governi affatto indipendenti l’un dall’altro, alcuni de’ quali vengono amministrati da piú persone e alcuni da una sola: e tuttavia dov’è l’uomo spassionato, il quale voglia asseverare di nove d’essi, che l’uno meriti una notabile preferenza sull’altro o l’altro sull’uno? che, verbigrazia, il viniziano sia al paragone migliore del piemontese, o il parmigiano peggiore del lucchese? Lo Stato pontificio è quello che si pretende da molti sia il piú mal governato di tutti: cosa però che non si dovrebbe credere a furia da chi sa come il sovrano di quello è sempre una persona santissima. Li altri nove vanno presso a poco tutti dello stesso trotto, e in ciascuno v’è del bene e v’è del male, perché tutte le cose delli uomini devono a forza essere una pazza mistura di beni e di mali. Ma che un tal ordine di governo produca ogni bene e che un tal altro non partorisca se non male, escluso anche ogn’ intervento d’altre cause, e’ sono fantasie di cervelli sgangherati davvero, checché se n’abbiano cianciato Niccolò e altri grand’uomini ne’ tempi passati, e checché se ne cianci e disputi al di d’oggi ne’ caffè di Londra e nelle stufe di Stocolmo.
Se Niccolò andava errato quando decideva intorno alla migliore o peggior forma del governare li Stati, andava poi erratissimo quantunque volte si faceva a dettare precetti per uso di quelli che mirano ad acquistarsi dominio o ad allargarselo; comeché, <&. dir vero, io m’abbia per fermo che costi egli insidiasse i Medici, come giá ho detto, e che fosse lontanissimo dal parlare di buon cuore. Checché ne sia di questa mia credenza, egli diceva che non importa per quali mezzi uno il faccia, purché s’aggrandisca e si renda signore della sua o dell’altrui patria. Gabba, dicev’egli, gabba ciascuno sempre che tu puoi, e non