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LETTERA VENTUNESIMA

d’Antonio Greppi a Francesco Melleri

[Discorre di Torino, e, argutamente, del carattere e dei costumi de’ suoi abitanti, delle lettere e delle scienze che vi sono coltivate.] Abbiatemi, signor Francesco, un obbligo grandissimo che il sonno mi fa un po’ di forza e vorrebbe cacciarmi in letto, come ha pur ora cacciati tutti gli altri qui di casa, e nondimanco io mi seggo giú per iscrivervi. E si, che potrei pure sparagnarmi lo sconcio, poiché la nostra donna Giulia ha una tanta stizza di tornare al suo Peppino, che non ci sará verso di farla star qui la prossima settimana tutta intiera, volendo ad ogni patto tornarsene a Bergamo e al suo Peppino, perché s’è sognata che le sue donne non ne prendono tutta quella cura che ne prenderebb’essa. In questi due mesi passati abbiamo assai bene vedute e rivedute le cose principali di questa piccola ma bella metropoli W e de’ suoi amenissimi contorni. Ma nel montare a Superga, chiesa vaghissima situata sulla piú alta vetta del vicino colle, e nel salire alla Villa della regina e al solitario convento de’ romiti di San Romualdo, e nel trottare alla Venaria, a Rivoli, a Stupinigi e ad alcune altre dimore villerecce di questo monarca, e nell ’avvolgerci in carrozza o a piede per questa cittá e pe’ suoi pubblici passeggi, ogni salmo di donna Giulia è sempre ito a terminare nel gloria del suo Peppino, come se non v’avesse altra cosa in tutto il mondo degna d’essere pensata, veduta, amata e contemplata se non quello. Oh, queste giovani mamme! come sono ricadiose, fastidiose, proffidiose, quando s’hanno il loro primo marmocchino! Io la motteggio di quella sua stizza, e senza la minima pietá; (i) Parla della cittá di Torino.