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LETTERA DICIASETTESIMA

di Domenico Balestrieri a Giancarlo Passeroni

[Quale goffa cosaccia il Filogine, non di Matteo Maria Boiardo, ma di un ignoto Andrea Baiardo!] Il vostro cervello è sempre stato un po’ parente del mio, caro il mio signor Giancarlo. Sono degli anni tanti che, leggendo anch’io la Biblioteca dell’ Haym, mi sentii destare un’ardente voglia di leggere il poema, di cui mi chiedete notizia; sicché pochi di dopo la mia giunta in questa vastissima Londra, mi procurai ingresso nella reale libreria di Westminster (0, dove, come l’Haym lasciò scritto, credevo esistesse un’unica copia di quel poema. Il custode della libreria, usandomi gentilezza come a forestiero, non ebbe difficoltá di lasciarmi esaminare a minuto quell’opera, onde a mio agio potetti vedere come l’Haym pigliò un granchio assai grosso quando ne disse che il Filogine era una fattura del famoso Matteo Maria Boiardo, che io considero come primo e vero padre di tutte le nostre epiche invenzioni. Per disgrazia nostra, quel Filogine non è se non una goffa cosaccia in ottava rima, scritta da un poetastro parmigiano, il di cui nome non so si trovi in altro luogo che nel titolo di questa sua filastrocca; e quel titolo dice cosi: Il Philogine. Libro d’arme e d’amore intitolato Philogine, del magnifico cavaliero messer Andrea Baiardo parmeggiano [cosi con due «g»], nel quale si tratta d’ Hadriano e di Narcisa, delle giostre e guerre fatte per lui, e di molt’ altre cose amorose e degne, nuovamente stampato. MDXXXV. Cominciate a notare che l’autore non seppe fuggire la ridicola ripetizione del nome di «Philogine» in questo suo (i) Poco dopo la data di questa lettera il re Giorgio secondo fece dono di quella libreria al museo britannico, onde ora forma una parte di quel museo. I