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prefazione 5

tutti coloro, di qualunque grado si sieno, che amano di trattarsi urbanamente e con amorevolezza anzi che con sussiego e con prosopopea.

Resta la maniera terza, cioè la compagnesca, che chiamiamo «dar del tu», la quale, come quell’aggettivo importa, s’adopera da buoncompagni, vale a dire da quelli che sono legati fra di sé d’un affetto cordiale, e che s’hanno di comune consenso bandita la cirimonia e le troppe sguaiatezze dalla cirimonia inventate o, per dire più schiettamente il vero, create aò initio dalla superbia e dalla forza de’ ricchi e de’ potenti, aiutata dalla meschinità e dall’inettezza de’ deboli e de’ poverelli. E dà così del «tu» e sei riceve a vicenda un fratello, verbigrazia, o un cugino, che scrive al fratello o al cugino, e un vero amico ad un vero amico, e un padre ad un figliuolo, e insomma chiunque vuole onestamente ed alla buona considerarsi eguale all’altro, o mostrare che gli vuol bene davvero anzi che da burla.

Questa maniera del «tu», che scaccia ogni ombra di cirimonia, comeché non escluda necessariamente il rispetto e la creanza, cangia affatto di natura quando l’uomo in collera scrive all’uomo da cui è stato offeso o dal quale si figura d’essere stato offeso. In questo caso il dar del «tu» indica sdegno e rancore e maltalento e dispregio sommo. E i padroni, scrivendo a’ loro famigli, l’usano pure alcuna volta invece del solito «voi». Ma quando questo avviene, il «tu» è per l’ordinario avvolto in una qualche frase cordiale ed amichevole; e quando il caso è tale, fa duopo conchiudere che quel tal famiglio sia molto in grazia, poiché si merita dal padrone un’affabilità di siffatto genere; intendendosi ne’ casi più semplici che ogni padrone, se non è una bestia del tutto rigogliosa e senz’affetto, deve usare il «voi» anzi che il secco «tu», se scrivesse anco alla più trista delle sue livree; comeché poi nel parlare adoperi anzi il «tu» che non il «voi» con ciascuno de’ suoi servidori.

— Oh, quanti imbrogli e quante sciocche smancerie! — mi dirà qui un qualche leggitore inglese o francese. — Quante stranezze