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Lettera ventitreesima — Di Niccola Pranchi a Francesco Vacca Berlinghieri pag. 316 Come pedantescamente erudite le note del conte Camillo Silvestr alle Satire di Giovenale, e quanto floscia e strascinata e ottusa la traduzione poetica! Lettera ventiquattresima — Di Giuseppe Paglietti a Pietro Francesco Degiovanni » 319 Gli ciancia di quelle cose di Londra, delle quali l’occhio, l’orecchio ed anche il naso possono giudicare. Lettera venticinquesima — Di Felice Coraggio a Giacinto Bauderi » 3 2 6 Ci s’ inganna assai, credendo che i frati siano poveri ed umili, e credendolo per l’unica ragione eh’ essi stessi ce lo dicono di continuo. Lettera ventiseesima — Di Francesco Ageno a Niccolò Defranchi . » 330 La lingua, che s’usa ormai parlando e scrivendo in ogni parte d’Italia, è una cosaccia tanto vile, tanto schifosa, da farci recere le budella, se un po’ di gusto di lingua rimanesse ancora in qualche parte della nostra contrada. Lettera ventisettesima — Del quartiermastro Albano al conte Carroccio del Villars » 34i Dei valdesi, dei loro luoghi, della loro storia politica e religiosa, dei «barbi», delle loro industrie e del loro carattere. Lettera ventottesima — Di Bastiano Buonavoglia a don Vittorio Savoiano » 352 Quel che pensa de’ frati, del loro celibato, dei danni che reca alla societá il loro numero eccessivo; e in quale modo si potrebbero scemare, se non togliere intieramente dal mondo, tutte le odierne fraterie, che gli nocciono tanto per tanti versi. Lettera ventinovesima — Di don Paolo Valcarengo a Carlo Gandini » 364 Notizie varie, accenni al suo Díscours sur Shakespeare et sur monsieur de Voltaire, e violenta sfuriata contro il conte Pietro Verri. Lettera trentesima — Di Pompeo Neri a don Teofílo Mauri » 370 Non v’è violenza, barbarie o tirannia che i popoli non si credan lecita, sempre che si tratti di quell’ immensa, di quell’ ineffabile, di quella sommissima quintessenza d’ogni bene chiamata il «commercio». Lettera trentunesima — Di don Giuseppe Casati a Tolomeo Malucelli » 378 D’un episodio della vita del conte Benedetto Berlinghiero, che accoppiò ad un punto in matrimonio dodici contadini anconitani.