Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/423

I \ Il 3 novembre 1777, Giuseppe Baretti scriveva da Londra al-’ l’amico milanese Francesco Carcano: «Le lettere, di cui vi feci motto, non sarann’altro che lettere mie; ma ciascuna attribuita a questo e a quell’altro, per far ridere tutti i miei amici d’ Italia. Un libraio voleva da me una scelta di lettere italiane di piú autori, offerendomene cinquanta ghinee. Le ghinee non erano da lasciar fuggire; ma dove avrei trovate tante lettere da farne due tometti? Que’ Bernardi Tassi, que’ Claudi Tolomei e quegli altri nostri ciancioni del Cinquecento sono coglie fastidiose, che non ti dicono se non delle cose cacate. Non v’è se non il Caro, che s’abbia qualche bella lettera. Che fare in questo stato di cose? Se non abbiamo degli autori epistolari, facciamone: ché, tant’e tanto, sará lo stesso, e queste damine che studiano l’italiano ci troveranno il conto loro né piú né meno. Cosi v’ ho fatti tutti, amici miei, autori d’epistole familiari; e voi mi scuserete se non v’avrò tutti trasformati in tanti Ciceroni, per mancanza di forze anzi che di volontá» (cfr. i miei Studi e ricerche intorno a Giuseppe Baretti, ecc. Livorno, Giusti, 1899, p. 501). Onde a quest’opera — alla quale forse pensava di giá, sin da quando, nel 1766, disgustato dell’Italia ed ansioso di porre piede «sul libero britannico suolo», prometteva a G. B. Chiaramonti di «lasciar correre la penna colla dignitá che si conviene a chi si vuol distinguere da’ bruti» (cfr. la lett. da Livorno, xi febbraio 1766, in Opere di G. Baretti, Milano, Soc. tip. dei Classici italiani, 1839, iv, 150) — il Baretti attese, quasi per isvago e per isfogo della sua anima, dorante quell’anno 1777 e il successivo, toccando qualche volta di essa nelle sue lettere agli amici, per promettere ora di dirvi «il resto» di quelle veritá che non aveva dette nel suo Discours sur Shakespeare et sur monsieur de Voltaire (cfr. la lett. al Carcano da Londra, 12 agosto 1778,