Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/331

cittá, in alcuna nostra corte, in nessun luogo nostro nominabile, modello alcuno di bella lingua da potercelo proporre per norma certa ed infallibilmente buona. Dov’è la cittá, la corte, il luogo in Italia, nel quale si parli con qualche soltanto mediocre correttezza, brio, varietá e sceltezza di vocaboli e di frasi? In ciascuna terra nostra, dalla Novalesa appiè dell’Alpi giú sino a Reggio di Calabria, v’ha un dialetto particolare, di cui ogni rispettivo abitante, sia grande, sia piccolo, sia nobile, sia plebeo, sia dotto, non lo sia, fa costantemente uso nel suo quotidiano conversare si nella propia famiglia che fuori. E quando accade che qualcuno voglia pure appartarsi dagli altri favellando, a quale spediente s’ha egli ricorso? Aimè, ch’egli toscaneggia quel suo dialetto alla grossa, alla grossa bene! E non s’avendo fregata di buonora la memoria colla studiata lettura de’ nostri buoni scrittori, viene a formare una lingua arbitraria, perché senza prototipo: una lingua tanto impura e difforme e bislacca si nelle voci, si nelle frasi, si nella pronuncia, che fa pur duopo, sentendola, ciascuno si raccapricci, o abbrividi, o frema, se possiede il minimo tantino di quella cosa, che giá dissi, chiamata «gusto di lingua», o gli è forza per lo meno se la sogghigni con un po’ di stizza e di smorfia, come quando, invece d’un visino avvenente che s’aspettava, gli s’affaccia un muso a mo’ di maschera. Signor Niccolò mio, andiancene, per esempio, a Roma (ché voglio pur cominciare da quel transandato caput mundi ) e porgiamo l’orecchio, per esempio, a quegli arcadi quando se la cinguettano insieme in quel loro ridicolo Parrasio; oppure leggiamoci le prose e le poesie che que’ poveri lavaceci ti vanno si di frequente sciorinando. Che bel parlare! Che scrivere mirabile! La lingua defunta de’ loro primi istitutori era snervatamente ciancéra, sallo Dio! E nulladimeno un po’ po’ del toscano la sei sapeva pure; ché, per lo contrario, la linguacciaccia usata da que’ cialtroni d’oggi non consiste se non in quel loro brutto romanesco senza polpa e senza lombi, spruzzato qui e qua di strani franzesismi, chiazzato qui e qua di bestiali barbarismi, e parlato quindi, o recitato, colle vocali tanto larghe, colla voce