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meglio che si trovi nel Silvestri. E chi può soffrire quelle sue quartine sguaiate o quelle sue sguaiatissime strofe? Il prefato Denina, il prefato proposto Lastri, che s’hanno tanto gusto di poesia quanto n’ hanno i vermi, son certo le troveranno dolci quanto lo zucchero della Martinica; ma il mio povero palato le trova piú amare, piú disgustose che non l’aloè di Socotora. E tanto piú che, vuoi i terzetti, vuoi le quartine o vuoi le strofe, ogni cosa è avviluppata dal conte Camillo in un toscano di Rovigo si maladetto, da non separarne la poca farina dalla molta crusca, chi l’abburattasse in sempiterno. Volendo adunque darci una nuova traduzione di Giuvenale, datecela, signor Francesco, animosamente e senza lasciarvi, come dissi, far paura da quella del conte Camillo Silvestri, fatta unicamente pe’ gonzi e letta unicamente da’ gonzi. Avvertite però a darcela in prosa, onde aiuti i nostri studiosi giovani ad intendere quel celebre satirico; e se vorrete corredarla di note, sia col nome di Dio, purché sieno brevi e significanti, e che schiarino veramente il testo dovunque ha mestieri d’essere schiarato. Signor Francesco, statevi sano e bevetelo fresco quel Chianti, mentre dura questo sollione, ché ci troverete il vostro conto.