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LETTERA DICIASETTESIMA

di Tommaso Perelli a monsignor Fabbroni

[C ontro il padre Appiano Buonafede, eletto generale dell’ordine celestino.]

Bravo bravissimo il padre don Appiano Buonafede, che ha saputo farsi eleggere a pieni voti generale dell’ordine suo, e beate beatissime le scrofe del Tebbro ora ch’egli s’avrá la crumena ben gravida, come la sogliono avere i generali tutti, sieno militari o sieno chiesolastici! Se il can mastino faceva tanto per quelle rognose del Reno b) quando era semplice abate, che non fará per quelle non rognose del Tebbro ora ch’egli è l’abate degli abati? Altro che donare alle peccatoracce un tre baiocchi a’ di feriali e un mezzo paolo a’ di festivi, come usava! E’ saranno quindinnanzi scudi lampanti, saranno genovine di peso, saranno ruspi lucenti come occhi di gatto! Né ci dimentichiamo i grassi brodi e le saporose minestre, che il notturno ghiottone si papperá con esse, e gli arrosti d’agnello ben pillottati collo strutto o col burro, e gli stufati di vitella surrentana fragranti d’aglio e d’origano! Mò si, che la Paternitá Sua quattordici volte reverenda potrá satisfare a quella sua tanta gola, e, quel che piú vale, contentare a sua posta quella tanta umanitá, anzi asinitá, che gli ribolli sempre fervidissima sotto la cocolla, sotto lo scapulare! Oh, monsignor Fabbroni! Delle novelle strane io n’ho sentite parecchie alla mia vita; ma una piú strana di questa noli’ ho sentita giammai! Il Buonafede fatto generale de’ celestini! Quel Buonafede chiamato con iscusabile quolibeto il «Malafede» da ciascuno che lo conosce! quel Buonafede notoriamente ricco d’ogni vizio piú grossolano, piú scandaloso, piú abbominevole! O tempora, o mores\ Ma com’ ha egíi (i) Fiumicello che scorre presso a Bologna.