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LETTERA SEDICESIMA

di Gioseffo Parini al conte Durazzo

[Anche la Clelia del Metastasio, sebbene non s’abbia certe qualitá in quel sommo grado ch’hanno altre fatture di quel poeta, ha pure la sua parte di vigore, di bellezza, di nobiltá e di grazia.] Io rendo infinite grazie all’ Eccellenza del mio signor conte, e non mica del libro che m’ha mandato, ché un libro è cosa di poco valore dappoi che la stampa trovò il modo di moltiplicarne il numero; e anch’io ne so con molta liberalitá donare de’ miei, senz’aspettarmi ch’altri me n’abbia ad avere un obbligo solenne ed indelebile. Quello di che io le rendo grazie infinite infinitissime, gli è del suo essersi ricordato di mandarmelo, mostrando cosi ch’io non le sia del tutto indifferente, malgrado l’umiltá dello stato mio. Di questo si, che le sono obbligato, e come d’un regalo fattomi d’alcuna cosa rara! Il costume degli uomini di gran prosapia, locati in posti luminosi, cari agl’ imperadori e alle imperadrici, accerchiati di continuo da un rapido vortice di faccende grandi, e sempremai assediati da molta gente studiosa del loro favore; il costume, dico, di questa classe d’uomini, tosto che s’hanno vólto l’occhio in altra parte, non fu mai troppo di ricordarsi della gente piccina e di nullissima importanza, ma sibbene di lasciarsela scappare istantaneamente della memoria e di farne caso come se non esistesse piú punto. Vostra Eccellenza però, lunge dall’usare quel costume con me, s’è ricordata di me e del libro ch’io le aveva chiesto e speditomelo con sollecitudine, come s’ io fossi stato né piú né meno che un pari suo; e questa è la cosa di cui le sono obbligato sommissimamente, e di cui, come dissi, le rendo quante piú grazie le posso rendere. Io l’aveva veduto molto chiaro eh’ Ella non somigliava in tutto e per tutto alla comune de’ grandi; ma che avesse poi a riuscir meco un tipo