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a san Casimiro, che regnò un tempo in Polonia e in Lituania! Ma chi si saria sognato mai che la santitá di quel buon santo mi fosse tanto strettamente congiunta di parentela! Chi m’avesse detto che san Titreba fosse un santo vivo e tanto a me caro, ch’io non posso punto desiderare se ne vada si tosto a pigliare il suo seggio in paradiso fra i suoi confratelli taumaturghi! Tant’è che, sentendo cosi parlare quel risuscitato, io fui sul punto d’ intuonare un inno o un’antifona, o di borbottare almeno un paternostro in onore di questo primo santo titrebesco! Aspettatevi però, signor santo mio parente, d’avere fra pochi giorni appiccato costá all’uscio vostro un «ex voto» molto ben dipinto e rappresentante la vostra grassa immagine a cavalcioni sur una nuvola tutta raggiante d’oro e d’azzurro, col signor Cosio di sottovia ginocchioni e colle mani alzate al modo cappuccinesco, in atto di recitare un «oremus», e con una palla di color nero sulla testa colle parole «houle d’acier» (0, scritte in francese su quella palla. Ma, santo mio, presente ispettore delle cacce, e segretario in diebus illis, sapete voi perché vi scrivo la presente? Ve la scrivo per dirvi che il signor Greppi ed io, grami peccatori l’uno e l’altro ma vostri ferventissimi divoti, ci prostriamo umilissimamente a’ vostri piedi e vi supplichiamo con ogni possibile caldezza, anzi vi ossecriamo e vi scongiuriamo a mandarci, non giá una o due o tre o quattro di quelle vostre palle, ma sibbene tutta intiera la portentosa ricetta che insegna il modo di farle, poiché quel vostro smemorato servo e balordissimo divoto Carlo Cosio se l’ha stoltamente e miseramente dimenticata in un villaggio non so se degli svizzeri o de’ grigioni, dove non ha molto è ito a trastullarsi con certe donne e a porre, per quel che si crede, novellamente a ripentaglio quella medesima salute da voi fattagli col vostro miracolo ricuperare! Deh, benefico taumaturgo, mandatecela per la posta quella ricetta portentosa, onde si possano da noi fare a nostra (i) Cioè «palla d’acciaio». È una palla formata di non so che ingredienti, che si pone in fusione nell’acqua, e di quell’acqua si beve poi chi vuol guerire di non so che mali d’ostruzione.