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scempiaggini e delle mellonaggini a iosa; e colui, sia chi si vuole, che piú ne dice e ne sa piú dire, piú di fatto è un Arlecchino, e per debita conseguenza piú atto a guerire un vecchio prete dell’ ipocondria. Ecco in qual guisa la faccenda va pigliata, chi vuole pigliarla pel diritto verso. — Benissimo un’altra volta, — mi torna il signor Sebastiano a dire. — Ma dove ho io a volgermi per trovare chi dica dell’arlecchinate, ché non ne conosco pur un solo in tutto quanto Milano? — Domine reverendo, che diavolo mi die’ Ella? Non ne conosce nemmanco uno in tutto quanto Milano? Questa non me l’aspettava, per sant ’ Ambrogio! Non conoscere un Arlecchino in Milano, dove n’ha tanti e tanti come in ogn’altra cittá del mondo! Pure, faccianla finita e non perdiarci in parole. Appicchisi gli occhiali sul naso, signor Sebastiano, e vengasene di botto a far un giro meco, onde rimuovere questa sua ridicola difficoltá. Vo’ perdere gli orecchi, se non gnene addito una mezza dozzina, anzi una dozzina intiera, prima ci abbiamo fatti cento passi. — Sta’, sta’! Ved’Ella lá quel frate, signor Sebastiano mio dolce? — Che frate? — Quel frate lé che cammina piano piano e pettoruto pettoruto verso la chiesa di Sant’Alessandro? — Si, lo vedo e lo conosco molto bene. Gli è il padre Onofrio Branda, maestro delle scuole arcimbolde. — Ebbene, quel padre Onofrio o frate Onofrio, chiamisi come si vuole, io lo do a Vossignoria per un Arlecchino de’ piú Arlecchini che la valle Brembana (*) s’abbia prodotti mai, poiché le arlecchinate gli escono continuamente di bocca, Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre. Se Vossignoria non v’è stata mai, vadasene domane o posdomane a quelle scuole arcimbolde; e sentirá come il poco reverendo padre te le sciorina belle da quella sua cattedra! Delle (1) È una valle in Bergamasca, riputata essere la vera ed unica patria d’Arlecchino.