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come l’ipocondria lo scannava quasimente, né v’avea verso potesse cacciarsela d’ indosso. — Fate quel che vi dirò io — gli rispose gravemente l’onesto prete, — e abbiatevi fiducia ve ne libererete in poco tempo. Andatevene le sere, quanto piú sovente potrete, a sentir l’Arlecchino della Commedia italiana; e s’egli non vi guerisce tosto a forza di farvi ridere... — Oimè — interruppe l’ipocondriaco dolentemente sogghignando, — oimè, ch’io sono quell’Arlecchino io stesso! — Signor Sebastiano, sprema bene questa novella, e il sugo che ne trarrá sará questo: che il ridere cagionato da un Arlecchino guerisce i preti vecchi ed ipocondriaci. E che altro è la Signoria Vostra, signor Sebastiano? Non è Ella un prete giá bene attempatotto e ipocondriaco marcio sopramercato? Affé, che le tre qualitá si raccozzano in lei come le tre punte sul tridente di Nettuno, arrovelline a su’ posta, ed esattamente come giá si raccozzarono in quel prete di Parigi. Ella faccia dunque al modo che fece quel buon prete: vada, cioè, ad ascoltare quanto piú sovente si possa un qualche Arlecchino quando parla. Dieci contr’uno, eh’ Ella guerirá di quel male, come il prete di Parigi gueri del suo. — Benissimo, benissimo! — replica qui Vossignoria, e non senza il suo po’ di stizza. — Io voglio credere, dietro a questo istruttivo esempio, che il ridere cagionato dal parlare d’un Arlecchino sia una panacea sovrana contra l’ipocondria de’ preti invecchiti! Ma non sai tu come appunto il mio essere di prete mi proibisce qui nel nostro Milano l’andare di spesso alla commedia? e che siamo per giunta di carnovale: vale a dire, in un tempo dell’anno che non si rappresentano sul nostro teatro se non dell ’opere in musica? — Inetto prete! inetto vecchio! inettissimo ipocondriaco! E si dá Ella ad intendere, signor Sebastiano, che l’abito faccia il monaco: cioè che l’essere d’un Arlecchino consista nell’aver indosso un vestituccio fatto a sacchi, nel portare la coda di lepre sul cappello bianco e la fusberta di legno a cintola? Signor mio, no! L’essere d’un Arlecchino, per dirgliela tutta in un fiato, consiste nel dire delle arlecchinate: cioè nel dire alcuna volta delle cose vive, acute, frizzanti, ma per lo piú di molte