Pagina:Baretti - La scelta delle lettere familiari, 1912 - BEIC 1749851.djvu/232

DI DON ALESSIO MELINA A GIUSEPPE IGNAZIO CORTE 231 Ma io m’avveggo, signor conte, che il mio dire va diventando soverchio prolisso e comincio a sospettare le possa riuscire una troppa seccaggine. Sicché lo tronco qui senz’ altra cirimonia e faccio fine oggi, assicurandola però che, quando il voglia e me ne ricerchi, io tornerò un altro tratto a lei, e mi porrò novellamente ad esaminare e a discutere ben bene in un’altra lettera come questa, o in due o in dieci o in vent’altre, un argomento di tanta importanza a tutta la contrada nostra, qual è quello della lingua che si dovrebbe da ciascuno scrivere in essa. Argomento senza dubbio meritevole d’essere un po’ piú filosoficamente esaminato e discusso, che non lo fu peranco da que’ tanti Inferigni, Guerniti, Rifioriti, Infarinati, Stritolati e Smunti smuntissimi accademici della Crusca, nostri gloriosissimi precettori e legislatori. Intanto stiasi Vossignoria sano a piú non posso e mi dica che gli paia di questa mia filastrocca senza punto masticarmela, vale a dire con una libertá eguale a quella con cui mi sembra d’averla scarabocchiata. E addio al mio signor conte. FINE DELLA PARTE PRIMA.