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DI DON ALESSIO MELINA A GIUSEPPE IGNAZIO CORTE 229 trasposte frasi d’una lingua morta abbia ad essere riputato come l’unico o almeno il principale modello della sua? Il Boccaccio, e lo dico senza baia, il Boccaccio s’aveva forse piú sapere in capo che non alcuno de’ suoi contemporanei; il Boccaccio s’aveva l’ingegno facile e copioso, e la fantasia moltissimo viva e veloce e chiara di molto; il Boccaccio s’ebbe dell’eloquenza naturale, s’ebbe un bel capitale anche di buon senno e s’ebbe non poche di quell’altre doti che si ricercano a formare un buono scrittore. Nulladimanco il Boccaccio, senza però averci né colpa né peccato, è stato la rovina della lingua d’Italia o, per dir meglio, è stato la cagione primaria che l’ Italia non ha peranco una lingua buona ed universale. E perché? Perché alcuni scrittori che gli successero da vicino e quindi gli accademici della Crusca, invaghiti del suo scrivere che a ragione trovarono il migliore di quanti se n’ erano visti sino a’ di loro, e rapiti fors’anco piú del bisogno dalle sue tante scostumatezze che un tempo furono il pascolo d’ogni bello spirito nostro, nel vennero d’anno in anno e d’etá in etá si fattamente commendando, si disperatamente celebrando, che alla fin fine si stabili l’opinione universale o, per dir piú vero, l’universal errore, che il Boccaccio in fatto di lingua e di stile sia impeccabile impeccabilissimo, e che per conseguenza chi desidera scrivere bene in italiano è forza scriva come il Boccaccio, da volere a non volere. Vomitato questo enorme sproposito da un’immensa turba di famosi latinisti, che appunto ammirarono il Boccaccio perché lo scorsero un fedele o, come direi io, un servile imitatore dei latini nel suo scrivere toscano, non è da stupirsi se gli accademici della Crusca succeduti tanto dappresso a que’ famosi latinisti, anzi latinisti essi medesimi per la maggior parte, si conformarono al parere di quelli, e se nel dettero pel piú perfetto esemplare di lingua e di stile che l’ Italia possa mai aversi. Ed è meno ancora da stupirsi se il piú degli uomini, che sono per natura pigri di mente come di corpo e sempre piú disposti a credere che non a far la fatica d’esaminare; non è da stupirsi, dico, se il piú degli uomini, sedotti da tante autoritá, si sottoscrissero buonamente e alla cieca alla riunita sentenza di