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LETTERA QUARANTASETTESIMA

d’Anna Reppi Faccini al signor conte suo sposo

[Come possa uno sposo conservarsi, in mezzo alle insidie, fedele alla sposa.]

Sposo bello e agli occhi miei amabilissimo! Io ho letta, giá gli è qualch’anno, la Cleopatra e la Cassandra e V Artamene e molt’altri libri abbondanti di frasi amorose; ma e’ non v’ha una sola frase in qualsivoglia d’essi atta a spiegare il centesimo di quell’affetto che la vostra gioventú, la vostra maschia presenza, la vostra schietta grazia, il vostro leggiadro ballare e i nobili costumi vostri hanno acceso nell’anima mia. Ora però che siamo due in una carne e che la novitá del nostro stato ha reso voi felice nell’amor mio quanto io lo sono nel vostro, permettetemi, sposo bello, ch’io versi liberamente nel vostro seno alcuni miei segreti pensieri e che vi dica certe coserelle, a dir vero, di non molta importanza, dalle quali però può dipendere la nostra mutua contentezza in questo mondo e fors’anco la nostra interminabile gioia nell’altro. Cominciamo. Quando s’avvicinò, signore sposo, quel sospirato momento che da voi mi fu posto in dito l’anello matrimoniale, io mi proposi fermamente d’amarvi per sempre, come nel mio caso sei sarebbe proposto pure ogn’altra fanciulla, non essendovene alcuna, se mal non m’appongo, che s’abbia in quel punto altro pensiero e che se ne vada al sacro altare meditando futuri sfoghi d’illecita concupiscenza. Io, dico, mi proposi in quel minto di fare costantemente in avvenire ogni mio sforzo, ogni mio possibile, per meritarmi sempre la continuazione di quell’affetto che voi mi promettevate allora con quella solennitá: cioè a dire, mi proposi d’amarvi anche piú de’ genitori da’ quali son nata, e piú delli stessi figliuoli che di voi mi nasceranno. Quantunque giovinetta, io conosco molto bene, sposo mio, la cattivezza del