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LETTERA QUARANTADUESIMA

di Filippo Frangipane ad Antonio Malatesta

[Se Sandrino è baccello, baccello sia]

. Voi mi fate ridere, per non vi dire che mi fate quasimente rinnegare. — Il nostro baccello di nipote non ha mente, non ha cervello —: me lo diceste dell’altre volte. — Quanto piú studia, tanto meno impara —: si, signore, che anche questo me l’avete detto e ridetto. — Dunque bisogna tirar innanzi a farlo studiare —: bella conseguenza, per mia fé! Tirar innanzi a fargli fare quello che non può fare? a fargl’ intendere quel che non può intendere? Non è questo un voler ergere una fabbrica dove non v’ha materiali? uno scagliare una piuma contro il vento e pretendere se ne vada ben in lá, quantunque si sappia che la sua tanta leggerezza non ammette impulso? Aimè, chi è piú baccello? piú senza mente? piú scervellato? il zio o il nipote? Deh, signor Antonio, a che istizzirvi? a che infradiciarmi? a che piú tormentare voi e lui e me? Deh, signor Antonio, non venite piú a rammaricarvi con meco dell’inutilitá d’ogni sforzo vostro, ché, affé di Bacco, se me la fate scappare del tutto con cotesti vostri continui lagni, con cotesto incessante rimbrottare, ve ne snocciolerò finalmente qualcuna delle peggio v’abbiate mai intese. Volere che la mosca voli come l’aquila? che l’asino canti come l’usignuolo? che il pidocchio si lanci e morda e sbrani come il tigre? Siete voi in voi? Dove non è roba, è povertá; non ci confondiamo. Via dunque. Se Sandrino è baccello, baccello sia. Ci abbiamo noi ad affogare per questo? Spilliamo d’un altro barlotto, poiché questo è pur vuoto, e non vogliamo storcere le stanghe di ferro colle nostre mani gottose; ma contentiamoci della durezza loro, come dell’ imbecillitá nostra. Senza piú divincolarvi e martoriarvi, fate un tratto a mio modo. Mandatemelo qui prima che l’autunno s’avanzi piú oltre, poiché io