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LETTERA TRENTANOVESIMA

di Pier Antonio Del Borghetto, minor osservante riformato,

a Paolo Emilio Carena [Per un vero cristiano la morte d’una persona cara do vrebb ’essere argomento di giubilo anziché di dolore.] L’usanza nostra urbanissima di fare ogni Natale un qualche augurio di bene a quelli co’ quali siamo in alcuna guisa connessi, mi riuscirebbe al solito sommamente grata, se potessi quest’anno disgiungere le saluti che mando a voi ed a’ vostri da que’ mesti convenevoli di condoglienza che un’inaspettata morte mi viene crudelmente a richiedere. Caro il mio signor Carena, che trista cosa perdere un fratello come il vostro, tanto pregiato da ciascuno che lo conosceva per la bellezza dell’animo suo, tanto amato per la dolcezza de’ suoi costumi, tanto riputato per l’ampiezza del suo sapere! Che angoscia per voi, che cordoglio per la famiglia vostra, che affanno pe’ suoi tanti amici, vederlo accommiatarsi repentinamente di quaggiú, e propio in sul maschio dell’etá sua, propio nel piú bel meriggio della sua fama, propio nel punto che la fortuna, quasi vergognosa d’averlo troppo tempo negletto, gli schiudeva la porta degli onori, l’incamminava per la via delle ricchezze! Oh, danno grande! Oh, irreparabile disgrazia! Oh, perdita da sempre dolersene! Come cessare dal nostro pianto? dove volgerci per conforto? Miseri noi, miseri a mille doppi! Chi potrá restituirci una sola metá di quel tanto bene che ci è tolto? chi ricondurre in noi quel sereno, quella giocondezza, quella tranquillissima calma, che godevamo pur ora? Ecco, signor Paolo Emilio, ecco il linguaggio che parlano i nostri affetti sempre deboli, sempre ciechi, sempre interessati! Se però la nostra povera e perversa natura non godesse del far gabbo a se medesima, se ci potessimo armar il cuore d’una