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NUMERO SECONDO 37 nel volgo di quelle menti, che non sanno produrre se non un qualche bel sonetto di tanto in tanto, e che io non ho forse tutto il torto se lo reputo, dopo il Galileo, per il più profondo speculatore e filosofo che abbia scritto in lingua italiana. Non creda però alcuno, che l’alto mio concetto di questo autore mi faccia sottoscrivere senza restrizione alcuna a tutte quante le opinioni sue, e che io approvi il suo libro da cima a fondo. Qual è quel libro che Aristarco Scannabue possa da cima a fondo approvare? Non voglio però neppur dire d’avere alcuna opinione diametralmente contraria ad alcuna di quelle conte- nute in questo suo libro: voglio soltanto dire che qui e qua non tengo né dalla sua né dalla parte avversaria, e che in certi casi non ardirei di maestrevolmente sentenziare né in favore né contro. L’abate Genovesi, esempligrazia, asserisce che « i beni della vita sono più che non i mali », e l’argo- mento principale da lui addotto per provare la sua tesi è che, per tormentato da’ mali che l’uomo sia, sempre impallidisce e trema all’annunzio d’una morte, che porrebbe fine a que’ suoi dolori, e sempre vorrebbe schivarla se vi fosse modo, e vorrebbe continuar a vivere un altro poco, cioè, inferisce egli, continuare un altro poco a soffrire que’ suoi mali. Al che rispondo che il desiderio di vivere è una cosa si può dire creata in noi da quello che n’ha creati, e per conseguenza invincibile, se non talora per somma grazia dello stesso crea- tore; che questo desiderio è affatto indipendente da’ nostri beni e da nostri mali; e che se desideriamo di vivere ad onta de’ mali che ne tormentano, questo desiderio nostro non può dirsi che provi altro se non che ai tanti mali dell’uomo si aggiunge anche quello di non poter soffrire senza mentale spasimo l’idea della dissoluzione di questo corpo, e che de- sideriamo di evitare un male di più di que’ tanti che già sof- friamo quando desideriamo d’evitare la morte. Concedo anch’io che uomo non calcola con giustezza i suoi beni e i suoi mali; che nell annoverare i beni che gode, ne lascia molti fuor della lista e che allunga il catalogo de’ suoi mali con de’ mali che non sono sovente tali in effetto; ma appunto questa universale