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per rispetto loro infinite volte chiuse gli occhi a la giustizia, non si curando offender questi e quelli. Ora tra la mandra de le sue femine che teneva, ve n’era una, la quale egli, avendone avuto di molti figliuoli e figliuole, maritò dopoi in un conte di questa cittá di Milano; la quale faceva lite con un suo parente per levargli buona parte de l’ereditá che possedeva, mossa piú dal favore che sperava dal duca ottenere che per ragione alcuna che ella avesse ne la detta ereditá. Avendo adunque lungamente contra il suo parente litigato, e non potendo secondo l’intento suo venirne a capo, e sempre col mezzo del favore ducale facendo menar la lite in lungo, per straziare e consumar l’avversario, a ciò che di fastidio a la lite cedesse; e veggendo che in modo nessuno egli non si lentava né smarriva, anzi piú di dí in dí si mostrava fresco e gagliardo; ottenne che con una lettera ducale la causa fu levata di mano ai giudici ordinarii e messa in petto di messer Giovan Andrea Cagnuola, dottore, assai giovine alora, ché di poco avanti era fatto dottore, e si teneva generalmente appo tutti che fosse uno dei savi dottori del collegio. Si meravigliò molto il Cagnuola che il duca gli avesse sí fatta lite commessa, né sapeva imaginarsi altro se non perché era parente di tutti dui i litiganti, che fosse per tal rispetto fatto commessario. Egli, ancora che giovine, era di temperatissimi costumi, prudente, dotto e tanto amatore de la giustizia quanto altro che alora vivesse. Fatto adunque commessario ducale ne la detta lite, ebbe tutte le scritture pertinenti a questa causa da l’una parte e da l’altra, le quali con grandissimo studio, cura e diligenza avendo vedute e considerate, conobbe che la donna v’aveva pochissima ragione e che a gran torto molestava il suo parente. Il perché, parlato con lei una e due volte, tentò di rimoverla da la sua openione, dimostrandole la poca ragione che ella aveva ne la lite, e che se era sforzato pronunziar la sentenza, che bisognava che contra lei la pronunziasse. La donna, sentendo il parlare del commessario, entrò in una estrema còlera, con dire che s’era con doni lasciato corrompere dal parente, ma che provvederebbe a’ casi suoi e che mal suo grado ei sarebbe sforzato a dar la sentenza a favor di lei. Onde, parlato col duca e con cinquanta lagrimette fattogli un poco di carezza, l’indusse che, senza pensarvi troppo su, mandò un cameriero a comandare al Cagnuola che, per quanto aveva cara la grazia del duca, desse il dí seguente la sentenzia in favore de la donna. Il Cagnuola, avuto cotesto cosí ingiusto comandamento, punto non si sbigottí, ma se n’andò di lungo in castello, e, trovato il duca, gli disse: – Signor eccellentissimo,