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non so che essendo a tavola, gli diede de le pugnalate e l’ammazzò. E tuttavia ciò che colui gli diceva era per ammonirlo che non cadesse in certo fallo ove era, disonestamente operando, poco innanzi caduto. Si vuole adunque maturamente pensare quello che con i suoi padroni si ragiona, e se pur altro modo non ci è, prender l’opportunitá e con ogni sommissione, alora che sono soli, dir loro ciò che bisogna. Facendosi adunque l’onorate nozze del signor Giovan Paolo Sforza e de la signora Violante Bentivoglia in Ferrara, in casa del signor Alessandro Bentivoglio padre de la sposa, e ragionandosi di questa materia, il signor Alfonso Caraffa, che, venuto nuovamente di Francia, se ne ritornava a Napoli, disse a questo proposito una breve novelletta, la quale io subito scrissi. E pensando a cui dar la devessi, voi m’occorreste, come cortegiano gentile, piacevole, cortese e modestissimo. E cosí quella vi dono in testimonio de la vostra gentilezza ed altresí de l’amor mio verso voi. State sano.Novella XXXVI
Essendo io questi dí a la corte di Francia, udii molte fiate ragionar de le maniere e costumi del re Luigi undecimo, e fra alcune parti non troppo lodevoli, che quei signori francesi, che di lui parlavano, dicevano esser state in lui, affermavano come egli fu generalmente nemico di tutti i reali e nobili di Francia, dei quali molti ne fece morire, e che al servizio suo non aveva se non gente vilissima, e che molti ignobili essaltò, dando loro grossissime entrate e gran degnitá. Ora tra gli altri che da la feccia de la plebe egli sollevò in alto, fu uno chiamato da tutti il Balva, il quale tanto puoté appresso lui, che secondo il suo parere il re del tutto si governava e tutto quello che il Balva ordinava era subito fatto, di modo che il re procurò tanto col papa, che lo fece far cardinale di Santa Chiesa e gli diede piú di sessanta mila scudi di beneficii in Francia, ben che il povero re ne fosse mal rimeritato, perciò che a lungo andare il Balva gli fu traditore. Ma lasciamo questo e vegniamo a la materia de la quale ora tra voi, signori miei, disputavate, cioè in che modo il cortegiano si deve col suo signor governare, quando lo vede far qualche cosa sgarbatamente. Vi dico adunque: dessiderando il re sapere di quanto