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mi ha rotta la testa parlando, e commandato che io ti faccia andare a corte, perchè ad ogni modo ti vuole vedere e parlar teco. Sì che dimane doppo pranso ti metterai a ordine, chè io vuo’ che tu vada a farle riverenza. Come tu sarai intrata in camera, le farai tre belle riverenze e con altissima voce inchinevolemente le dirai: – Bene stia madama la marchesana, mia soverana signora e padrona. – Ella subito ti risponderà, con alta voce gridando, che tu sia la ben venuta. Tu te le accosterai e le bacierai le mani, ed ella faratti dare da sedere. Fa che tu saggiamente le risponda, come so che farai. – La buona mogliera credette troppo bene questa così mastramente ordita favola. Era allora essa marchesa a Belfiore, palazzo che in quelli tempi si trovava fora de la città vicino al convento degli Angeli, che ora si vede ne la città nova, perchè il duca Ercole, di questo nome primo, ampliando la città, lo fece restar dentro le nòve mura. Venuto il seguente giorno, come disinato si fu, monna Checca a l’ordine si mise, e tutta polita, con due sue donne e uno servitore, se ne andò verso Belfiore. Il Gonnella, trovato il marchese insieme con molti cortegiani che dal castello andavano a Belfiore, disse loro la beffa che ordita avea, e tutti gli invitò a vedere la comedia. Andò il marchese con la compagnia su una loggia del palazzo, la quale avea uno gran fenestrone che rispondeva dentro la sala, dove la marchesa, per istare al fresco, si era ridutta con tutte le sue donne. Vi erano anco alcuni cortegiani e gentiluomini, e chi parlava e chi giocava. Arrivò allora il marchese su la loggia, cheto cheto, che monna Checca intrò in sala; la quale, fatte le sue tre belle riverenze, cominciò a piena e altissima voce salutare la marchesa, che medesimamente, per non causare dissonanzia, in quello altissimo tuono fece risposta. A così ridicolo spettacolo, perseverando madama e monna Checca a parlare più alto che potevano, non potendo il marchese e gli altri che erano su la loggia contenere le risa, il Gonnella si affacciò al fenestrone e ridendo cominciò ad alta voce dire: – Olà, che romore è cotesto che io sento? – Disse il marchese: – Finite la vostra comedia, o signore, ma parlate più basso. – Così intraviene, – soggiunse il Gonnella, – a chi è sordo. – Poi discesero a basso, e intrati in sala, il marchese disse il fatto come era, e che il Gonnella era quello che questa trama avea ordita. Mostrò ne l’apparenza la marchesa prendere da scherzo questa truffa, ma a dentro era tutta piena di veleno e in se stessa si rodeva, e pareale non istare mai bene se contra il Gonnella a doppio non si vendicava, dandogli ischiacciata per pane con centuplicata