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perdono. Noi poi vi daremo una tenaglia e voi gli caverete tre denti, dui di quei di sopra ed uno di quelli da basso, e vi li porrete in bocca e cavarete tre volte, rimettendogli ogni fiata in bocca; e cavatogli la terza volta fuori, ce li darete a noi, che saremo sempre lá presenti. Fatto questo, le strapparete l’ungia del dito di mezzo de la man destra e quella del dito picciolo de la sinistra. Le altre cose i miei compagni le hanno tutte, come è carta non nasciuta e fatta con caratteri di sangue di pipistrello, una pietra di quelle che hanno queste botte, che stanno in terra, in capo, e molte altre cose di strana natura che non si vogliono cosí publicare, le quali tutte insieme si pestano e si sepelliscono in luogo ove la donna che s’ama abbia a passare. Ed una sola volta che vi passi ella, vi manderá quel dí medesimo a cercare e farvi intendere che ella è presta per far tutto ciò che voi desiderate. – Credette il tutto il buon messer Giovanni, e disse che ciò che deveva fare era cosa leggera, e che per conseguir l’intento suo, che da se solo quando fosse bisogno, la metterebbe ad effetto. Restati adunque in questa condizione, monsignor Giovanni, come se di giá fosse l’effetto seguíto, tutto cominciò a gongolare e lieto oltra modo se n’andò a casa a fare sue facende. Messer Simone subito se n’andò a casa, e un’ora gli pareva un anno d’aver trovati i suoi compagni e a quelli narrata la beffa che giá s’aveva messo in animo di far a lo scolare innamorato. I quali, come il fatto ebbero inteso, giudicarono che il buon messer Giovanni mai non era passato sotto l’arca di san Longino a Mantova, e pur assai de la sua melensaggine si risero insieme. Avevano costoro un servidore in casa che si chiamava Chiappino, che era un furbo dei piú scaltriti del mondo, che averebbe fatto la salsa al diavolo, animoso, presuntuoso e tanto beffardo quanto si potesse imaginare cosa alcuna. A Chiappino adunque apersero i buon compagni ciò che fare intendevano. Egli, che senza paura averebbe dormito in una sepoltura, disse che era prontissimo a far il tutto che gli era ordinato. L’innamorato scolare come vedeva la sua donna, la quale né piú né meno il guatava come se mai veduto non l’avesse, diceva tra sé: – State pur sul tirato, fate la crudele, rivolgete altrove il viso e nulla di me vi curate, ché io spero in breve tenervi ne le mie braccia tutta ignuda e mille volte basciarvi e mordervi altre tante quella boccuccia vermiglia come un rubino. – E farneticava di queste cose da sé, parendo in effetto esser in fatto; ma lo sfortunato non sapeva la sua disaventura. Or non molto dopoi avvenne che un povero uomo si morí e fu sepellito in