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credenza amava il suo signor consorte, e altro non pensava giorno e notte che di ubedirlo e fare tutto ciò che pensava devergli essere grato. Se ella stava una ora che nol vedesse, parea che si sentisse sterpare il core e miseramente languire. Il signor Francesco amava anco egli la bella moglie, ma non di tanto fervente amore di quanto era da lei amato, perchè non vi era parangone tra loro. Viveva allora in Padova uno de li nobili e ricchi gentiluomini che ci fosse, chiamato Vitaliano, il quale aveva una moglie giovane, fore di misura bella, gentile e molto vertuosa, di cui la fama per tutta la Marca trivigiana e per Lombardia volava, che ella senza parangone di beltà, di leggiadria, di costumi e aggraziate maniere e di vertù a quello tempo unica viveva. E perchè Vitaliano altresì era il più bello giovane che in Padova fosse, e di lettere molto si dilettava, e di ogni cara e bella vertù che a gentiluomo appertenesse era adornato, e splendidamente e con gran liberalità viveva, tutta quella città l’amava e onorava, di modo che si diceva publicamente da grandi e piccioli non essere in que’ paesi la più compìta e bella coppia di loro lui. Sentendo il signor Francesco tutto il dì tanto lodare Vitaliano e la moglie, uno giorno, cavalcando con suoi cortegiani e altri gentiluomini, come si costuma, per la città, e passando dinanzi al palazzo di Vitaliano, che era uno de li belli di Padoa, quivi giù da cavallo con la compagnia dismontò e intrò dentro; e sentendo che nel giardino alcuni belli mottetti si cantavano, si imaginò Vitaliano colà essere con la moglie, avendo udito dire quanto tutti dui del cantare e sonare di varii stromenti si prendevano piacere. Erano tutti quelli nel giardino a l’ombra di alcuni allori, così intenti a la musica che il signore, con la compagnia chetamente andando, quasi a l’improviso li sovvragiunse. Cantavano, secondo che vi ho di già detto, alcuni belli mottetti a libro Vitaliano, la moglie, che Dianora aveva nome, e alquanti altri cantori, e facevano uno soavissimo concento, così maestrevolemente le sonore voci a le parole accommodavano. Ma come si accorsero che il signore Francesco quivi era, tutti, lasciato il dolce canto, si levarono e riverentemente l’accolsero, massimamente il cortese e gentile Vitaliano. Volle il signore e disse loro che cantando tornassero tutti a li loro luoghi e seguitassero quella dolce armonia; e appresso loro per iscontro a la bella Dianora, per meglio vagheggiarla, si assise. Così con amoroso e ingordo occhio rimirando la beltà de la donna, che cantando parea che si facesse più bella, non potea saziarsi di rimirarla e contemplar con quanta grazia ella maestrevolemente cantava, parendogli assai più bella