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eccellenti, che crudelissimamente avea come scelerati ladroni e assassini fatti decapitare. Nè si tacque come fora de l’isola avea con impietà grandissima cacciati tutti li religiosi, frati mendicanti, monaci e altri servi di messer Domenedio, e roinati tanti monisteri e distribuite tutte le intrate de li luoghi sacri a chi più de li suoi complici gli era ne l’animo caduto. Egli con sacrilegio inaudito si scriveva «pontefice» del suo regno; avea le sante reliquie e le ossa de li martiri e altri santi gettate a’ cani, e dirubati i sacri donarii per avanti da li regi e altre persone divote per voti a le chiese consecrati, e proibito sotto gravissime pene che messe e divini officii più non si celebrassero. Donava a chi più li piaceva li vescovati di sua propria autorità, nè più si ricercava alcuna autorità papale, non permettendo che a la corte romana più per veruna cosa si avesse ricorso. Tutti questi sacrilegii, tanto spargimento di sangue umano, la diradicazione de la maggior parte de la nobilà de l’isola, e sì crudele e nefanda tirannide da altro procedute non sono che da la insaziabile libidine e disregolatissimo suo appetito di esso Enrico; il quale, gettatasi dopo le spalle la moderatrice de le azioni umane giusta ragione, a sciolte redini a lo sfrenato e concupiscibile senso si era totalemente dato in preda, di modo che, fieramente acciecato, correva ogni ora di male in peggio. Ora, di lui tutto questo e altre cose assai in detestazione sua dicendosi, il gentile e dotto messer Geronimo Verità, quando vide che in altri ragionamenti si cominciava a travalicare, con mano accennò che si tacesse, e a proposito del repudiare de le moglieri narrò una breve istorietta, che molto a li circostanti piacque udire. E poi che egli si fu deliberato de la sua narrazione, il gentilissimo e costumato giovane messer Francesco da la Torre, che vicino a voi sedeva, a me rivolto, sorridendo disse: – Nè questa, Bandello mio, starà male tra le novelle tue, che questi dì mi mostrasti, quando il nostro piacevolissimo messer Francesco Berna ed io col non mai a pieno lodato signor Cesare Fregoso disinassemo e poi si retirassemo ne la tua camera. – Voi allora diceste che io questa novelletta devea descrivere; il che io vi promisi. Onde, avendola descritta, mi è paruto convenevole al nome vostro dedicarla e farvene dono, ancora che sia picciolissimo e voi per le rare vostre doti di vie maggior degno siate, non tralignando punto da l’autore de la onorata vostra famiglia in Verona, che fu il dottissimo gran filosofo, teologo e poeta messer Dante Alighieri, del quale voi per diritta linea mascolina sète procriato, perciò che egli molti anni qui, sotto l’ombra de li signori Scaligeri, abitò, e vi lasciò uno