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il corpo de la donna su il letto, e, preso il suo pugnale che a lato avea, si diede una mortale ferita nel petto, e subito riprese in braccio il morto corpo de la sua donna. La damisella, veduto questo, cominciò come forsennata gridare: – Aita, aita! – Il duca, udito il grido, corse in camera, e trovata quella coppia di amanti in tal maniera, si sforzò levar Carlo; ma indarno vi si affaticava. E sentendosi Carlo scuotere e conosciuto il duca a la voce, voltata alquanto verso lui la testa, con interrotte parole languidamente disse: – Eccovi, signore mio, a che termine, la mia lingua e la vostra, la mia cara consorte e me hanno condotto. Dio ve lo perdoni, e perdoni anco a me li peccati miei, chè io dolente senza fine me ne chiamo in colpa. – Il duca, volendo pure rilevare Carlo, in quello istante lo vide cadere boccone sovra la sua donna e quivi restare morto. Inteso poi da la damisella il successo del tutto, dinanzi a li corpi degli infelici amanti postosi con amarissime lagrime in genocchioni, e baciando loro il viso, più volte chiese loro perdono. Indi cavato il pugnale sanguinoso fora del petto di Carlo, se ne intrò in sala tutto furioso ove la duchessa gioiosamente danzava, pensando essersi contro Carlo e la dama del Verziero vendicata. Egli, col pugnale a lei accostatosi, furiosamente: – Malvagia e rea donna, – le disse, – non vi ricorda egli che prendeste il segreto che vi dissi su la fede vostra? – E così dicendo con alcune pugnalate la ammazzò. Tutta la compagnia, che in sala a la festa era, restò smarrita, e quasi credevano il duca essere divenuto pazzo. Ma egli, accennando che si tacesse, narrò loro la pietosa istoria de li dui amanti. Fu poi fatta in una chiesa interrare la duchessa, che si trovò non essere gravida. A li dui sfortunatissimi amanti fece il duca fare di marmo una soperba e ricca sepoltura con maestrevoli e bellissimi intagli, e quella fece mettere in una abbadia che egli fondata avea di qualche tempo innanzi, cui dentro furono collocati i dui amanti, con uno epitaffio che l’istoria de li loro amori conteneva col pietoso fine de la morte. Avea uno fratello Carlo, chiamato Rodolfo, al quale il duca donò due castella, cioè Bersalino e Corlaonio, per lui e per gli eredi. Interprese, dopo non molto, il duca uno viaggio oltra mare in difensione de la Terra santa, del quale gliene seguì onore e utile. Tornato che fu in Borgogna, rinonziò a uno suo fratello carnale il governo del ducato, ed egli si ridusse a fare penitenza dentro l’abbadia, dove erano stati sepolti li dui sfortunati amanti; e quivi, austeramente vivendo, passò la sua vecchiezza nel servigio di Dio santamente. Eccovi, madama, e voi, belle signore e cortesi gentiluomini, la fine de la mia pietosa istoria,