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mio! come facesti mai così dannosa e male considerata elezione di prendere per lo più leale il più sleale e infedele, per lo più verace e aperto il più bugiardo e doppio, per lo più segreto il più divolgatore e vantatore? Aimè! è egli possibile che una cosa nascosta agli occhi di tutto il mondo si sia rivelata a la duchessa? Aimè! mio fedele cagnolino, tanto bene ammaestrato e solo conscio de li miei pudicissimi amori, tu non sei già stato quello che gli abbia publicati. Chi dunque fu che li manifestò? chi fu che per gloriarse li discoperse? Egli è stato uno che ha la voce molto più grande di te, o mio fidatissimo cane, e ha il più ingrato core di quale si sia bestia al mondo. Egli è stato quello che contra il suo sagramento, contra la giurata promissione e contra la data fede e contra la nobiltà del suo sangue ha fatto manifesta la già fortunata vita, che senza offendere persona noi lungamente e felicemente insieme avemo vivuto. O amico mio, di cui l’amore solo era abbarbicato nel mio core e col quale si è conservata la vita mia, adesso bisogna che io, publicandovi mio crudelissimo e mortale nemico, l’onore vostro come polve al vento con eterna infamia vostra si disperda; e mancando la vita mia, che più durar non può, il mio corpo a la terra si renda e l’anima vada dove piacerà a nostro signore Iddio, che eternalmente o felice goda i beni eterni, o dannata dimori ne le penaci fiamme del fuoco infernale. Ma dimmi, sleale, dimmi, o di tutti gl’ingratissimi il più ingrato e infedele, la beltà e grazia de la duchessa è ella così eccellente che ti abbia trasformato, come Cerce trasformava gli uomini con suoi incantesimi in varie bestie, arbori e sassi? Ti ha ella fatto di vertuoso divenir arca di ogni vizio? di buono, malvagio? di uomo, una fera crudelissima? O falso amico mio, ben che tu mancato mi sia de la promessa e giurata fede, io nondimeno ti vuo’ attenere <nowiki>ciò che ti promisi, di non voler mai più vivere come tu divolgavi li nostri amori. Ma perchè senza la tua vista io non saprei nè potrei vivere, volontieri, se non fosse la tèma de lo eterno danno, mi darei con le mie mani la morte, per compire di contentarti. Ma con l’estremo dolore, che a poco a poco mi va accorando, mi accordo, il quale sento che in breve romperà lo stame de la mia travagliata vita. A questo salutifero dolore non voglio procurare rimedio veruno, nè per via di ragione nè per aita di medici. La morte sarà quella sola che al tutto darà fine, e vie più grata mi sarà, uccidendomi, che restare viva senza amico e senza contentezza. Ahi, fallace Fortuna, invidiosa de l’altrui bene, come hai tu reso malvagio guiderdone a li meriti miei! Ahi, duchessa, che