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viso tutto era cambiato, rassembrando più a una statua di marmo che a uomo vivo, intrò in openione che Carlo non amasse altra donna che la duchessa; onde assai disdegnosamente e con còlera disse: – Carlo, Carlo, se tu avessi altra amica che mia moglie, tu non istaresti tanto a nominarla. Ma io penso che la tua ribalderia ti tormenta. – Punro Carlo da queste parole, anzi sino al vivo trafitto, amando egli vie più il duca che se stesso, determinò di dirgli quella che amava, confidandosi nella vertù e buona natura di esso duca, e tenendo per fermo che egli mai non lo ridirebbe. Fatta questa deliberazione, disse: – Signore mio, l’obligo infinito che io conosco avervi per li grandi da voi ricevuti beneficii, e l’amore che io vi porto, più che la tèma di mille morti, poi che vi veggio cascato con falsa openione nel pestifero morbo de la gielosia, per levarvi ogni sospetto e chiarirvi dell’innocenzia mia, mi fanno fare cosa che, per quanti tormenti me potessero essere dati, io mai fatto non averei, supplicandovi, signor mio, che per l’amore di Dio vogliate promettermi e giurarmi, in fede di vero prencipe e fedele cristiano, che il segreto che ora vi dicelerò voi non lo riverelete a persona del mondo in qual si sia modo già mai, ma sempre celato in petto lo terrete. – Giurò allora il duca con tutti quei sagramenti che a la mente gli occorsero, chiamando Dio e la corte celestiale per testimoni che quanto Carlo li direbbe, mai a persona, nè in parole nè per iscritto nè per cenni o per quale modo si sia, egli manifesteria; e così sulla croce degli elsi della spada li giurò. Carlo, avuta questa promessa, assicurandosi sovra la fede data di così vertuoso prence come egli conosceva il duca, cominciò narrarli la storia del suo sino a quell’ora segretissimo e felicissimo amore, in questo modo dicendo: – Sono, eccellentissimo signore mio, sette anni passati che io, veggendo l’incredibile, natia e leggiadra bellezza di madama del Verziero, vostra carnale nipote, allora che rimase vedova, mi posi in pena di provare se acquistare poteva la sua buona grazia. E conoscendo la mia bassezza al par de l’altezza sua esser niente, mi affaticai esserle umile servitore, contentandomi che ella degnasse accettarmi per servitore e si contentasse che io l’amassi. Il che per cortesia sua non solamente mi successe, ma ella degnò tormi per marito. Così, la Dio mercè, gli affari nostri fin qui con tanta nostra contentezza quanta imaginar si possa, e con tanta segretezza sono proceduti, che, da Dio nostro signore in fuori, nessuno uomo nè donna già mai se n’è aveduto, se non che ora a voi, signor mio, lo manifesto, ne le cui mani io ho posta la vita e la morte mia, per le giurate convenzioni