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parendomi che la natura loro con la mia più si confaccia. – Il duca, cui difficillimo era credere male di Carlo in simile materia, li disse: – Carlo, io ti voglio prestare fede di quanto mi dici; perciò va e, secondo il tuo solito e che sei costumato, attendi a servirmi, assicurandoti che se io conoscerò, come mi affermi, che la cosa stia così, io di più in più ti amerò. Ma se io trovo il contrario, pensa che la tua vita è ne le mie mani. – Carlo allora quanto più seppe umilmente ringraziò il duca, e li disse che sempre al suo giudicio si sommetterebbe ogni volta che provato fosse colpevole. La malvagia duchessa, veggendo Carlo come prima fare il suo officio e essere in grazia tornato del duca, arrabbiava di stizza e di còlera e nol poteva sofferire, parendole che il marito non tenesse conto di lei. Onde, vinta da l’estrema ira che la rodeva e non le lasciava avere una ora di quiete, essendo una notte con il duca in letto, li disse, essendo intrata su il ragionamento di Carlo: – Veramente, signore mio, egli vi saria bene impiegato che vi fosse dato il veleno, poi che più vi fidate di uno vostro mortalissimo nemico che di chi vi ama. Sapete quello che vi ho detto di questo ribaldo di Carlo. – Il duca allora le rispose in questo modo: – Moglie mia cara, non vi pigliate pensiero di tale cosa, perchè io vi assicuro che, trovando che Carlo mai abbia fallito, egli ne sarà acerbissimamente gastigato, avendomi, con li maggiori scongiuri che fare si possano, affermato che è innocente. E non vi essendo maggior prova, non testimoniando nessuno contra lui, che potrei io fare? Potria bene essere che egli talora, burlando, avesse detto qualche motto, che voi, come gelosa de l’onore e fama de la vostra onestà, averete interpretato al contrario di quello che egli intendeva dire. Ma non dubitate che, avendo fallito, io nol colga. Egli non potrà uscire di questa nostra città che io nol sappia, perchè ci ho posto tante spie a la coda, che non farà passo che io non ne sia avertito. – La duchessa sceleratissima, che in altro non pensava che in la roina di Carlo, e tanto era di stizza e rancore colma che, per cacciar del capo a Carlo dui occhi, a sè volentieri averia permesso che uno le fosse stato cavato, al duca in questa forma rispose: – In buona fede, signore mio, la bontà vostra troppo grande rende vie più malvagia la sceleratezza di questo ribaldone, poi che in lui solo tanta fede avete. E qual maggiore prova, per Dio, volete vedere in uno uomo tale quale egli è, che considerare la vita che egli di continovo, come scaltrito e scelerato che è, ha tenuto e tiene, senza mai essersi potuto vedere uno atto in lui che mostrato si sia amoroso in questa corte di dama nè damisella