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cominciò, dicendo: – Ahi, monsignor, il mio male, che sì m’affligge, è che io vi veggio troppo indegnamente ingannato da chi vi è tanto obligato e chi la vita propria deveria a ogni periglio in servigio vostro isporre, e nondimeno cerca levarvi l’onore e porre vituperosa macchia dentro la limpidezza de la vostra chiarissima fama. – A queste parole, acceso il duca di infinito desiderio di intendere chiaramente la cosa, pregò con affettuosi preghi la moglie che liberamente senza rispetto veruno volesse farli palese la verità del fatto. Ella, dopo l’aversi fatto pregare e ripregare, a la fine in questa guisa li rispose: – Io, marito e signor mio caro, non mi meraviglierò più se uno straniero nuoce a uno suo signore, quando io veggio che li nostri medesimi soggetti e vassalli osano farvi nocumento, di sorte che importa molto più che non fa il perdere tutti li beni de la fortuna, con ciò sia così che l’onore assai più vale e devesi più istimare che quanta ricchezza si trovi nè quanti regni siano. Il vostro favorito, cotanto da voi amato, Carlo, di vostra mano nodrito e trattato da voi non da servitore ma da parente ben propinquo e stretto, ha avuto ardire richiedermi l’onore mio e affettuosissimamente supplicarmi che io volessi divenire sua amica. In questo ha mostrato che egli voleva come ladrone rubarmi e vituperare l’onore mio, nel quale senza dubbio consiste il vostro e di tutta la casa vostra. A la sua temeraria e presontuosa richiesta gli ho fatta la conveniente risposta: che, non pensando il cor mio in altro che in voi a servar la fede maritale intiera e monda, che non fosse più oso già mai di tale materia parlarmi. Ma tanta noia di questo suo malvagio ardimento mi ho preso, che poco meno che non sono morta, e non ho occhio in capo che lo possa vedere; il che è stato cagione di farmi porre a letto. Per questo io vi supplico con tutto il core umilemente, signore mio, che voi non vogliate a modo veruno tenere in casa vostra così scelerato e pestifero uomo, il quale forse, dubitando che io non vi riveli il suo misfatto, potrebbe talora machinare qualche grande e mortale sceleraggine contra la persona vostra. Chè, se egli non ha temuto di volervi porre in capo sì vituperosa infamia e farvi il sire di Cornovaglia, pensate pure che egli non temerà di machinare contra la vita vostra. Voi sète savio e sapete meglio di me se il caso importa. Fateli quella debita previsione che la enormità del fatto ricerca. – Qui si tacque la sceleratissima femina, e ne le braccia del marito, amarissimamente piagnendo, si abbandonò. Egli, che da uno canto teneramente la moglie amava e si sentiva da Carlo, se così era, gravissimamente offeso, che sempre