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a bocca fatto averebbe, accompagnando le parole con venticinque lagrimette e altri tanti ardenti sospiri, uno dì che il duca era retirato a parlamento segreto, serrato in camera con l’ambasciatore del re di Francia e alcuni de li suoi consiglieri, ella, pigliata la opportunità, chiamò a sè Carlo; e, mostrando avere cose d’importanza da conferir con lui, intrò su una loggia e seco passeggiando li cominciò a dire: – Io sono forte meravigliata de li casi tuoi, che essendo tu nel fiorire de la tua giovanezza e riputato il più bello e vertuoso cortegiano di questa nostra corte, come esser possa che ancora tu non mostri amar qualcuna di tante belle dame e leggiadre damiselle che qui pratticano. Tu puoi pur vedere che in corte non ci è gentiluomo che con alcuna di queste donne non si intertenga e non faccia, come si costuma dire tra noi, «allianza», chiamando quella per cugina, quell’altra per sorella, quella per cognata o per consorte o sua grande amica; e tutti per l’ordinario fanno il servitore de le dame. Ma tu con nessuna ti dimestichi. Io saperei volentieri onde nasce questa tua salvatichezza. – Carlo allora molto riverentemente in questa guisa le rispose: – Madama, se io credessi essere degno che alcuna di queste dame si potesse abbassare a mettere i suoi pensieri in me, forse che io ardirei talora presentare il mio servigio a una di loro. Ma dubitando, come di leggiero potrebbe accadere, essere disprezzato e che di me si gabbassero, mi fa che io non oso mettermi a quale si sia impresa amorosa. – Non dispiacque la saggia risposta del giovane a la duchessa, anzi le parve che in lei l’amore più fervente verso lui crescesse; onde con voce quasi tremante li disse: – Io ti assicuro, Carlo, che non ci è così alta dama in questa corte nè in tutti questi paesi che non si tenesse bene aventurosa se tu degnassi esserle amante e, come si usa, farle la corte. – Mentre che la duchessa parlava, che era faconda parlatrice, Carlo teneva gli occhi chinati a terra, non osando mirarla in viso; e preso da quella congedo, se ne andò altrove. Il che forte dispiacque a la duchessa, che desiderava con lui tener più lungo proposito. E ben che diverse fantasie passassero per mente a Carlo, nondimeno egli non mostrò già mai sembiante alcuno, nè in gesti nè in parole, che paresse che avesse penetrato la intenzione e volere de la duchessa, governandosi nè più nè meno come da prima era solito; cosa che in vero a quella, che altro voleva che parole, infinitamente era molestissima e cagione di amarissima vita. E ancor che ella, per essere forte bella e per lo grado che teneva, desiderasse essere pregata e ripregata; tuttavia, veggendo uno