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erano a la guardia de la Goletta. Restituì alcuni prigioni, tra li quali erano alcuni cristiani che militavano per l’ordinario a cavallo, li quali egli aveva incarcerati perchè seguivano Muleasse. Questi prigioni si dimandavano «rebattini». Non sarà, penso io, forse fora di proposito che io vi dica che gente sia questa che «rebattini» si chiamano, per quanto già, essendo io in Africa, ne apparai per relazione di molti. Devete adunque sapere questi rebattini essere reliquie di cristiani vecchi, che ne le antiche ispedizioni fatte da li nostri restarono in Africa; e perchè erano uomini valorosi e leali, furono sempre in prezzo e onore appo li reggi tunetani e a tutto quello popolo. Questi vissero sempre come cristiani, e fora de la porta di Tunesi verso il mezzodì, non troppo lungi da la città, se ne stavano in uno castello detto Rebatto, dal quale chiamati sono «rebattini», e durano in buono numero sino al presente giorno. Hanno le chiese e li sacerdoti, e officiano a la romana. Ne la detta terra di Rebatto non abita nessuno africano, ma solamente essi cristiani Tutti li regi tunetani hanno sempre avuto per costume, come anco avea Muleasse, tenere una gran squadra di questi rebattini a la guardia de le persone loro, commettendo più volentieri la salute del corpo loro a li cristiani che agli altri di quello paese. Per questo gli aveano assignato quello luoco con possessioni e grandi immunità. E perchè fanno il mestieri de l’armi a cavallo, li chiamano «cavalieri rebattini». Ma, tornando a dire di Amida, restituì egli tutti gli stendardi lofrediani col corpo di esso Lofredio, senza capo, chè stato gli era dal busto reciso da li soldati africani. Diede poi per ostaggio uno suo picciolo figliuolo, che era di nove anni e Schite se appellava, con questa condizione: se cotali tregue, che temporarie parevano, non si commutano in pace, che il figliuolo incolume al padre suo fosse restituito. Questo nome «Schite» in lingua punica vuole dire «fortunato». Fece medesimamente Amida condurre a la Goletta tutta l’artegliaria che li lofrediani perduta aveano, la quale ancora che Tovarre poco istimasse, nondimeno non volle che agli africani potesse recare giovamento a nessuno tempo già mai. Questa tregua, ben che non iniqua e per molte cagioni necessaria istimare se potesse, tuttavia Tovarre giudicava quella non convenire a la dignità cesarea, parendo cosa fora di ragione e indegna che Amida godesse il regno, che con immanissima perfidia e nefandissima sceleratezza contra il decreto imperiale avea rubato, e commessa contra il proprio padre sì enorme crudeltà. Per questo Tovarre cominciò tenere nuove prattiche per tentare se poteva introdurre alcuno del sangue reale in Tunesi,