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regno; e che non dubitava che esso re non si mettesse a ogni periglio, ma che attendesse che egli avesse soccorso di una numerosa e forte compagnia di arabi, come promesso avea. Mentre su queste esortazioni si dimorava, alcuni baroni africani, simulando di essere buoni amici, erano usciti fore di Tunesi e con una loro barbara cerimonia, mettendosi le ignude scimitarre a la gola, come è peculiare costume loro, davano il sagramento di fedeltà. Costoro esortarono Muleasse andare animosamente innanzi, con ciò sia cosa che Amida, come vedesse suo padre armato, vinto da la vergogna e dal timore, subito abbandoneria la ròcca e la città, e confuso se ne fuggirebbe. Credette a le false persuasioni Muleasse, e non vi interponendo dimora alcuna, rivocandolo e protestando indarno Tovarre, che da le fraudi e insidie puniche si guardasse, fece esplicare in uno momento gli stendardi e bandere, e a la volta di Tunesi prese il camino, seguendolo allegramente con animoso core il Lofredio; il quale se tanta prudenza avuta avesse quanto aveva ardito cuore, le cose sue e del re senza dubbio prendevano altro assetto. Non mancarono perciò prefetti esperti ne l’arte militare, come furono Cola Tomasio e Giacomo Macedonio, patrizio neapolitano, li quali si sforzarono con evidenti argomenti persuadere il Lofredio che, senza avere veduto o da’ suoi soldati esperti fatto vedere ed esplorare il sito del paese, non si mettesse così di liggiero a combattere, e non volesse dare fede a le parole de li fallaci africani; ma che si contenesse uno poco e intertenesse a bada il re, che senza lui non combatteria, e si aspettasse il soccorso de li propinqui numidi, promesso da esso re. A questi superbamente, per non dire con pazzia, rivolto, il Lofredio disse: – Voi, che di vergognosa paura sète pieni, cessate, cessate oramai di predicare queste vostre poco valevoli ragioni anzi ciancie puerili, e non vogliate sminuire l’audacia degli uomini forti, perciò che io vi assicuro che tanto è lontano da me il valer romperre e guastare la sperata vittoria che in mano avemo, quanto che penso che farei molto meglio punire voi altri, più pronti a spaventare con falso timore i soldati, che a menare arditamente le mani. – A questo rispose il Tomasio, con alta e ferma voce dicendo: – La Fortuna certo, non mai tarda ultrice de la temerità, o Lofredio, in breve, secondo che me pare comprendere, a tutti noi aprirà la via ispedita di testificare qual più di noi sarà stato de la vertù amatore. Io certamente al grado mio, con non vituperoso fine de la vita mia, onestamente mi sforzerò di sodisfare. Ma tu metti ben mente se a l’officio tuo e dignità de la