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si perdere di animo, ma che volesse tornare a Tunesi. Egli a questo aviso fu confortato; e ripreso animo e intrato in buona speranza, avendo avuti alcuni buoni augurii, a li quali [gli] africani prestano molta fede, deliberò, essendo anco da Boamare confortato e da Adulze insieme con gli altri suoi spinto, tornar di nuovo a tentare la</nowiki> fortuna, la quale mai non istà ferma in uno tenore, sperando che se prima contraria gli era stata, che li saria favorevole. E non dando indugio a la sua deliberazione, a Tunesi se ne ritornò; ove, trovata la porta de la città aperta, andò di lungo a la casa del manifete, e nol trovando in casa, tutti li propinqui e famigliari di quello crudelmente tagliò in pezzi. E con la scimitarra sanguinolente in mano, accompagnato da li suoi seguaci, si inviò verso la ròcca, ne la quale volendo intrare, Fares prefetto di quella, tirato il rastrello innanzi l’intrata, si sforzava animosamente proibirlo che non intrasse. Ma uno schiavo di Etiopia, che era con Amida, diede con una spada ne li fianchi a Fares, e quello, passato da banda, gettò in terra più morto che vivo. Il perchè Amida, spinto il cavallo, passò sul corpo di Fares e intrò dentro; e quivi trovato Maomete manifete, commandò che fosse come una pecora scannato. E a questo modo ne lo spazio di una ora si impatronì de lo stato. Subito poi ne li menori fratelli suoi cominciò esercitare la sua ferina crudeltà con tanta insolenza e sceleratezza, che, tutto pieno di sangue, senza vergogna, senza rispetto veruno, constuprò alquante concubine del padre. Fece poi divolgare che Muleasse avea rinegata la religione loro maometana e fattosi cristiano, e che dopo dapoi se ne era morto. Di tutti questi accidenti avvertito Muleasse, come detto si è, venuto era a la Goletta con speranza di ricuperare il regno. Francesco Tovarre, per essere uomo di perspicace ingegno, con diligentissima considerazione discorrendo tutto ciò che ragionevolemente accadere poteva, suase al re con evidenti ragioni che con quelle genti tumultuarie, che d’Italia condutte avea, non volesse andare a Tunesi se prima più minutamente non era informato meglio de le cose de la città e degli animi de li cittadini e popolani tunetani. Aveva egli gran dubbio de la fede africana, e degli arabi temeva le insidie, per essere gente che facilmente d’ora in ora si cangia e segue chi più le offerisce e dona. Poi con maggior veemenzia e più ardenti parole avertì e più apertamente ammonì Gioan Battista Lofredio che non si mettesse così sfrenatamente a tanta impresa, sapendo che dal vicerè di Napoli avuto aveva in iscritto, in li mandati, che non guardasse al desiderio del re, volontaroso fora di misura di ricuperare lo